Chiedereste mai il consenso per far partecipare un alunno all’ora di matematica?

È una domanda provocatoria che inevitabilmente ne fa sorgere un’altra: perché chiederlo per quella di educazione sessuale?

Chiedereste mai il consenso per far partecipare un alunno all’ora di matematica?
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Agostino Forgione Modifica articolo

24 Novembre 2025 - 13.20 Culture


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Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia, Ungheria, Romania. E Italia. Sono questi i paesi europei in cui l’educazione sessuale nelle scuole non è ancora obbligatoria. 7 su un totale di 27. Ammesso, o forse sperando che nessuno abbia il coraggio di mettere in discussione come la sessualità rappresenti un aspetto fondamentale dell’essere umano, è legittimo domandarsi perché proprio qui, nella nostra porzione d’occidente, il suo insegnamento sia talvolta esclusivamente riservato alla famiglia. È questo il primo quesito, monolitico, che mi pongo pensando al nuovo disegno di legge sulle “Disposizioni in materia di consenso informato in ambito scolastico”, tra l’altro rinviato all’esame della camera una decina di giorno fa.

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Brevemente, questi si compone di due articoli: il primo che tratta del consenso informato preventivo che le famiglie devono rilasciare affinché uno studente, laddove minorenne, possa partecipare a eventuali attività attinenti all’ambito della sessualità. Per acquisirlo è necessario, importante sottolinearlo, che le scuole mettano a disposizione il materiale didattico utilizzato. In caso di mancata adesione l’istituto è tenuto a garantire la fruizione di attività alternative, che devono essere comprese all’interno del Piano triennale dell’offerta formativa. Discorso differente per le attività extracurriculari, ovvero quelle “non obbligatorie” che le scuole decidono autonomamente di erogare “in più” rispetto ai curricula nazionali. In tal caso, laddove non interessati, gli studenti possono semplicemente astenersi dalla frequenza.

L’articolo due, invece, norma il coinvolgimento di soggetti esterni nello svolgimento delle suddette attività. Nello specifico la loro presenza, sia nelle attività curriculari che extracurriculari, deve essere deliberata dal collegio docenti e approvata in sede di consiglio d’istituto. Inoltre, per la selezione dei soggetti esterni è necessario che il collegio definisca “i criteri sulla base dei quali procedere alla comparazione e alla valutazione dei titoli e della comprovata esperienza professionale, scientifica o accademica nelle materie oggetto dell’intervento nonché della coerenza con la finalità educativa e dell’adeguatezza al livello di maturazione e all’età degli studenti”. Una disposizione che, a pensar male sebbene forse prendendoci, sembra voler tagliare fuori gli attivisti progressisti tanto invisi ai conservatori.

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Ed eccoci qui alla domanda posta in partenza. Perché lasciare ai genitori facoltà di scegliere se uno studente possa partecipare o meno alle lezioni di educazione sessuale? Quali sono le motivazioni alla base di ciò? Penso a qualcosa di analogo. Non credo che nessuno si sognerebbe mai di chiedere il consenso per partecipare alle lezioni di matematica o italiano. Immagino già l’informativa da far firmare. “Vuoi che a tuo figlio venga insegnata la scomposizione dei polinomi?”. Oppure “Sei favorevole che partecipi alla lezione sulla poetica ungarettiana?” Ecco, fatico a capire perché per l’educazione sessuale avvenga esattamente ciò.

Valditara precisa che al di là di ciò nelle ore di scienze si parlerà comunque di organi sessuali, riproduzione e malattie sessualmente trasmissibili. Ma nessuno gli ha spiegato che l’educazione alla sessualità è ben altra cosa. Significa sapere come utilizzare correttamente un preservativo, quali sono le forme di contraccezione disponibili, come rapportarsi col proprio partner e via dicendo. Significa anzitutto promuovere un approccio aperto e privo di ogni pudore e reticenza al sesso, far capire che sia qualcosa che fa parte della vita di tutti noi.

Il quadro dipinto dal disegno di legge, purtroppo, va in direzione completamente contraria. Ritrae un paese ancora tremendamente sessuofobo, in cui il lascito della cultura cattolica tradizionalista continua ad aleggiare sulle nostre teste. Vivere in una famiglia che concepisce la sessualità come peccaminosa, come un tabù, è a parer mio una delle sfortune più grandi in cui un adolescente possa incappare. Conseguentemente, lasciare alle tante, troppe famiglie bigotte facoltà di (dis)educare la prole un peccato per nulla veniale.

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