L’alba della riconquistata libertà di stampa

Il 26 aprile 1945, dalle prime pagine del ‘Nuovo Corriere’, ‘L’Unità’, ‘Avanti’, ‘Il Popolo’, ‘La Libertà’, ‘Italia libera’, per la prima volta si capisce che la ricostruzione del Paese può passare da una stampa capace di ospitare il confronto e non più la propaganda

L’alba della riconquistata libertà di stampa
Sandro Pertini, membro del Clnai, a Milano in quei giorni
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18 Aprile 2025 - 15.05 Culture


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di Marcello Cecconi

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Il 26 aprile 1945 le prime pagine di molti quotidiani raccontarono quello che era accaduto il giorno prima, l’ultimo rumoroso e coraggioso passo della marcia della Liberazione dal nazi-fascismo iniziata quasi due anni prima con l’arrivo degli Alleati in Sicilia. Infatti, il 25 aprile l’Italia si era risvegliata finalmente libera e si specchiava non solo nelle piazze e nelle strade riconquistate dalle forze partigiane ma anche nei titoli di giornali riemersi dalla clandestinità o tornati liberi dopo la lunga notte fascista.

A Milano, da tempo il centro riconosciuto della stampa nazionale, il Corriere della Sera era l’asse portante attraverso la sua indiscutibile dote “liberal” che Mussolini, indubbio conoscitore del ruolo della comunicazione, riuscì lentamente a imbavagliare fino a ridurlo a puro strumento di propaganda durante la Repubblica di Salò. Redattori e tipografi del Corriere da mesi avevano cominciato a prepararsi per l’insurrezione anche con la compiacenza degli editori, la famiglia Crespi, e del Clnai (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) stabilendo già il nuovo direttore per il “dopo” in Mario Borsa.

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L’insurrezione, che prese il via il 24 aprile 1945 e continuò anche il giorno successivo con la condanna a morte di Benito Mussolini da parte del Clnai, portò Borsa al Corriere. Lo accompagnò il collega Gaetano Afeltra, che si era dimesso dopo l’8 settembre 1943, e un gruppo di partigiani del Clnai che arrestarono il direttore Ermanno Amicucci ancora nella poltrona di Via Solferino cara ad Albertini.  Ma non era tutto fatto per una stampa veramente libera perché anche gli Alleati volevano tenere le briglie alla stampa che stava riemergendo e lo facevano attraverso lo Pwb (Psychological Warfare Branch) che curava in proprio anche la pubblicazione di giornali e di programmi radiofonici nei paesi liberati.

Ecco le prime pagine del 26 aprile 1945

Corriere della Sera (esce come “Il Nuovo Corriere”)

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La cellula Clnai interna al Corriere, che da tempo aveva preparato il piano, decideva di stampare sotto la propria responsabilità una nuova testata da mettere al servizio dell’antifascismo. Tra drastiche epurazioni, rientri eccellenti in redazione e paura di incursioni vendicative fasciste, si chiudevano gli ingressi di via Solferino e, oltre a stampare il Nuovo Corriere, si dava ospitalità alla stampa dei giornali di partito come l’Unità e l’Avanti. Il numero 1 dell’anno 1 del Nuovo Corriere era in edicola già la mattina del 26 aprile. La prima pagina, curata da Gaetano Afeltra e Mario Borsa, si apriva con il titolo a nove colonne: “Milano insorge contro i nazifascisti”, e il sottotitolo: “L’ultimatum del Cln agli oppressori: Arrendersi o perire”. Il fondo, “Riscossa”, fu scritto con cura da Mario Borsa per ricercare il tono giusto tra fermezza e spirito democratico, anche attraverso il richiamo alle Cinque Giornate del 1848, perseguendo un percorso di giustizia etica che non comprendeva vendette personali.

L’Unità

L’Unità, al Nord, quel giorno uscì anche a Genova e Torino. A Milano, diretta da Elio Vittorini scrittore e intellettuale antifascista, fu stampata nella tipografia del Corriere. L’editoriale “Combattere fino alla vittoria” fu scritto da Palmiro Togliatti, leader del Partito Comunista Italiano che esprimeva la volontà di non accontentarsi di mezzi successi, ma di perseguire con fermezza l’obiettivo della liberazione totale del Paese. L’editoriale serviva anche a mobilitare le masse popolari, incoraggiandole a partecipare attivamente alla lotta e a sostenere il movimento partigiano. Togliatti, dopo l’esilio in Unione Sovietica, era rientrato in Italia nel marzo 1944 assumendo un ruolo centrale nella direzione del Pci e nella definizione della strategia politica del partito sia nel contesto della liberazione che nella ricostruzione post-bellica.

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Avanti

Anche l’Avanti, il 26 aprile, tornò a essere pubblicato alla luce del sole a Milano, segnando la fine della clandestinità, ospitato anch’esso nei locali del Corriere. Questo numero segnava la rinascita del giornale, che aveva continuato le pubblicazioni in clandestinità durante la dittatura fascista e questo nuovo inizio fu diretto da Guido Mazzali, figura centrale nella stampa clandestina socialista durante la Resistenza. Nell’editoriale “Orgoglio”, Mazzali esprimeva il sentimento di fierezza e dignità del popolo italiano che, dopo anni di oppressione fascista e occupazione nazista, si era sollevato per riconquistare la libertà. Questo scritto rappresentava non solo una riflessione sul passato recente, ma anche un appello al futuro: un invito a mantenere vivo lo spirito di unità e determinazione che aveva portato alla Liberazione, per affrontare le sfide della ricostruzione e della rinascita nazionale. Il Direttore politico era Pietro Nenni che, nell’edizione del giorno successivo, 27 aprile 1945, pubblicò un editoriale intitolato Vento del Nord”, che divenne celebre per il suo tono ispirato e per l’analisi politica del momento.

Il Popolo

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Il Popolo, organo della Democrazia Cristiana, titolava con tono solenne: “L’Italia è libera – L’Italia risorgerà, un messaggio che combinava fede nella rinascita e spirito patriottico. Era la sua prima edizione libera dopo la Liberazione dal nazifascismo. L’editoriale “Il bene di tutti” rifletteva i valori fondamentali della Democrazia Cristiana: la promozione del bene comune, la riconciliazione nazionale e la costruzione di una società basata sulla giustizia e sulla solidarietà. In un momento di grande fermento politico e sociale, l’articolo esortava alla responsabilità collettiva e alla partecipazione attiva dei cittadini nella ricostruzione del Paese.​ La redazione di Milano era guidata da Francesco Casnati, Mario Melloni ed Ezio Dall’Asén, giornalisti che avevano già maturato esperienza nella stampa clandestina.

L’Italia Libera

Voce del Partito d’Azione, difendeva la necessità di una democrazia non solo formale, ma attiva, popolare e progressista. Il suo impianto editoriale metteva già in evidenza la visione di un’Italia nuova, fondata su valori repubblicani e antifascisti. L’editoriale Antifascisti vecchi e nuovi”, rappresentava una riflessione profonda del Partito d’Azione a ridosso della Liberazione. Non si conosce l’autore specifico ma è plausibile attribuirne la paternità a Leo Valiani, direttore del quotidiano e figura di spicco del Partito d’Azione. Valiani, insieme ad altri intellettuali come Vittorio Foa e Carlo Levi, contribuì significativamente alla linea editoriale del giornale, che mirava a promuovere una democrazia radicale e repubblicana.​ L’editoriale si proponeva di distinguere tra coloro che avevano combattuto il fascismo fin dalle sue origini e coloro che si erano uniti alla Resistenza solo nelle fasi finali del conflitto. Pur riconoscendo il contributo di tutti alla Liberazione, l’articolo sottolineava l’importanza di una vigilanza continua per evitare che opportunisti o ex collaboratori del regime potessero influenzare negativamente la ricostruzione democratica del Paese.

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La Libertà

​Il 26 aprile 1945, anche La Libertà, quotidiano del Partito Liberale Italiano (Pli), pubblicò la sua prima edizione libera dopo la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Diretto da Giustino Arpesani, figura di spicco della Resistenza e membro del Clnai, il giornale rappresentava la voce del liberalismo democratico italiano nel nuovo contesto post-bellico.​ L’editoriale “Il nostro dovere” rifletteva l’impegno del Partito Liberale nel promuovere i valori della libertà, della democrazia e della responsabilità civica. In un momento di transizione e ricostruzione, l’articolo esortava i cittadini a partecipare attivamente alla vita democratica del Paese, sottolineando l’importanza di un impegno collettivo per garantire un futuro di giustizia e libertà.​ Un appello alla coesione sociale e alla responsabilità condivisa, evidenziando il ruolo fondamentale della stampa e dei cittadini nella costruzione di una nuova Italia democratica.

La Stampa

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Il vecchio quotidiano torinese, nella prima pagina del 26 aprile, non dedicò titoli ai combattimenti nell’Italia settentrionale scegliendo di focalizzarsi sull’accanita resistenza della Wehrmacht a Berlino nonostante fosse evidente la capitolazione di fronte all’Armata Rossa che stava già controllando, quasi per intero, la città. La Stampa, come il Corriere della Sera, si era sottomessa alle direttive del regime e, anche dopo l’8 settembre 1943, aveva continuato a pubblicare sotto la Repubblica Sociale Italiana. Una scelta editoriale, forse ispirata anche dalla proprietà legata agli ambienti industriali torinesi, che non fu perdonata dal Comitato di Liberazione Nazionale che sospese le pubblicazioni de La Stampa il 3 maggio 1945. Qualche mese dopo, il 18 luglio 1945, sotto la direzione di Filippo Burzio, tornò in edicola.

Come abbiamo visto in ogni testata, con esclusione de La Stampa, l’euforia della vittoria si accompagnava a un forte senso del dovere. C’era la consapevolezza che la fine della guerra non coincideva con la fine delle difficoltà: la ricostruzione economica, morale e politica era appena cominciata. Ma per la prima volta, quella ricostruzione poteva passare da una stampa che si avviava alla libertà, alla pluralità di voci, capace di ospitare il confronto e non più la propaganda, tanto da diventare uno dei temi centrali nell’Assemblea costituente che il 25 giugno del 1946 avrebbe iniziato a lavorare per la Carta Costituzionale dell’appena nata Repubblica.

Rileggere oggi, nell’ottantesimo anniversario della Liberazione, quelle prime pagine significa entrare nel vivo della storia di un popolo che, pur stremato, aveva scelto di rialzarsi. E lo ha fatto anche con la penna.

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