Emerge qualche creatura “mostruosa”, alla 18esima “Quadriennale” di Roma. Non è detto che sia un male. Invece non affiorano presenze espressamente interessate a istanze politiche e civili. Il Palazzo delle esposizioni propone fino al 18 gennaio 2026 la rassegna riservata ad artiste e artisti del nostro paese. La mostra, che ha già ripreso un percorso significativo almeno dal 2016 dopo vicissitudini varie e una lunga irrilevanza, si intitola “Fantastica” ed è curata da cinque critici, Luca Massimo Barbero, Francesco Bonami, Emanuela Mazzonis di Pralafera, Francesco Stocchi, Alessandra Troncone. Al quintetto aveva affidato il compito di predisporre una sezione a testa in modo autonomo il presidente, il critico d’arte torinese Luca Beatrice, personalità dichiaratamente di destra, eclettica e di grande intelligenza, in carica meno di un anno perché purtroppo è morto all’improvviso il 21 gennaio scorso a nemmeno 64 anni di età.
A piano terra si vedono 187 opere di 54 artiste e artisti italiani nati tra gli anni ’60 e la fine degli anni ’90; 45 debuttano alla “Quadriennale”, sedici sono under 35. Qual è il risultato complessivo? Eterogeneo, con una discreta quantità di dipinti, senza una direzione prevalente, un movimento che si impone su altri. Forse tanta eterogeneità di forme e linguaggi denota quella frammentazione sociale e culturale dell’epoca dell’isolamento camuffato dei social. Salvo i video in paesi africani di Massimo Grimaldi, o le foto di Andrea Camiolo ricreate con l’intelligenza artificiale intorno al “Manhattan Procjet” statunitense per l’atomica, risalta l’assenza di chi, attraverso la propria opera, richiama temi controversi affini alla politica come, per dire, la migrazione, il razzismo, la povertà, l’identità sessuale, il patriarcato, le guerre.
Non era obbligatorio ci fossero, ciò non inficia il valore o meno dei presenti, tuttavia bisogna constatare che la Quadriennale 2025-26 evita temi scottanti. I promotori sono sia la Fondazione della Quadriennale sia la Direzione generale creatività contemporanea del Ministero della cultura, guidato dal ministro FdI Alessandro Giuli, le quali organizzano la rassegna con l’Azienda speciale Palaexpo.
In linea con il titolo “Fantastica”, nelle sale si incontrano alcune creature bizzarre, finanche mostruose, talvolta inquietanti con merito, talvolta fantasiose e innocue. È uno dei capitoli più stimolanti. Tra le opere che spiazzano possiamo iscrivere di diritto l’installazione all’ingresso con le maschere e le teste d’animale in alluminio di Giulia Cenci su rami, radici, scheletri di tavoli. Come può iscriversi alla categoria del mostruoso, dalle ascendenze barocche, il busto femminile del duo Vedomazzei in lindo marmo bianco con una strana forma organica al posto del volto.
Sempre in tema di “mostruosità” (detto con affetto) “Hunger” di Arcangelo Bassolino non stupirà chi è abituato a vedere macchinari in azione alle mostre (alla Biennale capita): una sorta di artiglio in acciaio, forse di una ruspa, quando alza le “zampe” può ricordare un piccolo dinosauro, un insettone monco o un alieno e quando sbatte giù il muso-artiglio si fa notare per il gran fracasso. Poveri custodi.
Ricorda un lucertolone mostruoso e multicolore stile fantasy, o un cavalluccio marino geneticamente modificato, “Exiled in Domestic Life” dell’artista dal nome d’arte Agnes Questionmark: con le sue dieci zampe rosse zampetta dietro monitori accesi, un tavolo e altri ammennicoli. Intriga perché feroce la tela dipinta da Marta Spagnoli: raffigura un canide da horror su stesure color porpora e lo ha titolato “Scavenger”, animale necrofago che si ciba di carogne, cui aggiunge tra parentesi “Autoritratto”.
Tra altre opere è evocativo nella sua apparente semplicità l’alabastro bianco di Gianni Caravaggio; l’albanese-italiana Iva Lulashi elabora giovani corpi femminili in pose deformanti in situazioni perverse o da incubo mentre Matteo Fato , in uno dei pezzi più riusciti in Quadriennale. stravolge corpi di e bambini con pennellate fiammeggianti alla maniera di un esponente della scena romana in odore di espressionismo tra le guerre che cita in didascalia, Scipione (1904-1933).
Ricordare Gino Bonichi, nome all’anagrafe di Scipione, consente di agganciarci alla mostra al primo piano “I giovani e i maestri: la Quadriennale del 1935” dove ha due dipinti: con la collaborazione dell’Archivio Biblioteca della Quadriennale stessa, il curatore Walter Guadagnini riprende la seconda edizione del 1935 con foto del tempo e una selezione di dipinti e alcune sculture da un appuntamento che ebbe estremo successo. Erano anni di potere indiscusso del fascismo: la rassegna rischiava di diventare un’apologia – involontaria data l’indipendenza del curatore – di un regime dittatoriale che, sostiene qualcuno, avrebbe fatto anche cose buone.
Camminando sul filo del rasoio, Guadagnini ha accuratamente selezionato dipinti sommi e sculture: da Giorgio Morandi a Mario Mafai, da Osvaldo Licini ad Antonio Donghi e l’onirica Leonor Fini, riservando una collocazione d’onore a un’impressionante e cristallizzata lettura del mito di Niobe a firma di Giovanni Colacicchi.
Delle oltre 1700 opere del 1935 Guadagnini ha scelto una quarantina di pezzi scartando quelle in lode del duce o del regime che all’epoca proliferavano. Se non abbiamo contato male nelle foto storiche a corredo Mussolini compare una volta soltanto. Una scelta per depotenziare eventuali revisionismi fascistoidi e restare nell’alveo dell’arte. Ricordando che quelli erano gli anni della dittatura, numerose opere eccelse appagano lo sguardo e lo spirito.
Info utili. L’allestimento è firmato da Brh +/Barbara Brondi & Marco Rainò; due i cataloghi curati dai curatori delle rispettive mostre, entrambi dedicati “a Luca”, li pubblica Marsilio Arte. Biglietto intero a 12,50 euro, la Quadriennale è chiusa il lunedì, è in via Nazionale, il sito è www.quadriennalediroma.org
