di Chiara Zanini
Dopo l’archiviazione del caso del regista Fausto Brizzi – il fatto non sussiste – per un po’ di tempo si è smesso di parlare dell’esistenza di un #metoo italiano, ma violenze, abusi, molestie e femminicidi continuano ad essere una realtà quotidiana per le donne, e non si può pensare che il mondo dell’arte sia un universo a parte. In Belgio le denunce contro Jan Fabre hanno aperto una discussione ampia, mentre in Italia i critici teatrali tendono a difendere Fabre prima ancora che i fatti siano accertati. Un gruppo di lavoratori dell’arte ha quindi preso parola evidenziando con una lettera il nesso tra violenza, sessismo e precarietà lavorativa e spiegando che l’arte non è certo un campo innocente (si può leggere qui.) Già due anni fa l’attrice Giorgia Ferrero aveva raccontato a La7 la propria esperienza rivolgendosi in particolare alle giovani attrici e invitandole a non rimanere in silenzio:
Ed ecco arrivare da Napoli una lettera aperta di molte studentesse dell’Accademia di Belle Arti, che svolgono gli esami in un clima di forte tensione dovuto alla comune presa di coscienza dei comportamenti di un docente costretto a dimettersi. La pubblichiamo per intero nella speranza che questo rumore convinca l’istituzione a dare una risposta a queste ragazze.
La lettera delle studentesse: È successo a me e non deve succedere a te!
Nelle ultime settimane stiamo assistendo a un accanimento mediatico e a una falsa ricostruzione rispetto alle vicende che riguardano abusi sessuali, molestie e avances all’interno della nostra università. Queste vicende oltre ad averci colpito negli anni in qualità di parte lesa, esposte alla violenza in uno spazio in cui invece avevamo immaginato di poter dare vita ai nostri sogni, ai nostri percorsi formativi e alle nostre carriere extra-curriculari, ci colpisce anche oggi nel momento in cui abbiamo deciso di dare un nome alle violenze che abbiamo subito. Diversamente da quanto si sta narrando, l’abuso di potere da parte del docente in questione non ha colpito solo una nostra collega, ma negli anni siamo state in tantissime, purtroppo, ad essere state colpite dalla politica di terrore, dalla violenza e dalla possibilità di non sottrarci anche solo a ricevere un complimento non gradito, un messaggio su chat mai richiesto, obbligate a rispondere anche quando non avremmo mai voluto, ci siamo spesso chieste: come si fa a non rispondere anche soltanto con un ciao ad un docente lì dove a legarci è il rapporto di subordinazione che ci fa dubitare che qualsiasi cosa non detta possa ritorcersi contro di noi? In questi mesi siamo riuscite a confrontarci tra di noi per capire che quello che è successo a una è lo stesso copione avvenuto per tutte, con sfumate chiaramente diverse.
Sicuramente siamo in tante quelle che durante i test di ammissione siamo state rintracciate, quando ancora non iscritte al corso e ignare del risultato della prova, dal docente che aveva già deciso cosa farne dei nominativi delle candidate che volevano accedere ai corsi scelti. Sicuramente siamo in tante quelle che nella prova orale avremmo dovuto sostenere l’esame con un altro docente e ci siamo ritrovate, per sua richiesta, a sederci dinanzi a lui. Sicuramente siamo in tante quelle che successivamente siamo state contattate dopo aver svolto la prova orale e scritta, quando i risultati non erano ancora usciti.
Un calvario: bocciate per aver detto no a un invito
Alcune di noi si sono sentite dire alla prova d’accesso che il nostro profilo non era indicato per il percorso di studi scelto ma avremmo dovuto “fare l’attrice”. Ci chiediamo come questo docente, prima ancora che avesse i nostri indirizzi elettronici avesse i nostri nominativi da usare per la ricerca su social network come facebook o instagram.
Abbiamo vissuto a lungo con umiliazioni pubbliche durante il corso di questo docente, trattate malissimo e, per quelle tra di noi che avevano deciso di mandarlo a quel paese via chat, è iniziato un calvario, per alcune durato anni. Esami rimandati e esami a cui siamo state bocciate almeno tre volte, esami a cui ad alcune di noi ci è stato detto “sì, lo meritavi, ma se avessi accettato il mio invito sarebbe stato tutto più semplice, ritenta la prossima volta sarai più fortunata”, esami che siamo riuscite a superare soltanto con la presenza di un accompagnatore/trice. Siamo state molto spesso invitate ad uscire sempre con la proposta di riuscire ad ottenere uno stage, un lavoro o ad approfondire il nostro “percorso formativo”. Richieste di foto, richieste di informazioni in alcun caso collegate al rapporto docente-studente insomma un calvario che per molte di noi è stato davvero frustrante.
Non è un caso singolo come dicono i media
Ad oggi quello che ci fa rabbia non solo è la re-interpretazione di una vicenda collettiva che agli occhi dei media e degli interessati vuole essere ridotta ad un unico caso singolo, ma ci fa ancora più rabbia la leggerezza con cui ci vengono date delle soluzioni o ci vengono presentate delle strade che “avremmo dovuto prendere” quando non si ha la minima nozione di cosa ha rappresentato per noi vivere nel terrore per anni. Situazioni che, in più casi, erano giunte a chi avrebbe dovuto tutelarci all’interno dello spazio accademico, uno spazio che immaginavamo protetto, dotato anch’esso di misure che non avrebbero mai dovuto esporci a così tanta violenza.
Oggi siamo convinte che già solo la nostra consapevolezza, la forza di tutte noi, con cui stiamo provando a fare uscire la nostra voce, è da intendere come un enorme passo in avanti. Non vogliamo più docenti molestatori, vogliamo strumenti che ci tutelino e vogliamo una presa di posizione netta dell’Università contro gli abusi di potere, sessuali, avances e molestie. Siamo altrettanto consapevoli che non saranno le inchieste giornalistiche, le false promesse a rendere questo spazio sicuro per noi, ma possiamo e dobbiamo essere solo noi, tutte insieme, a fare in modo che quello che è successo a noi, non accada mai più!
Sulla pagina di Non Una Di Meno Napoli sono pubblicati gli screenshot dei messaggi inviati dal docente. È di mercoledì la notizia che la Cgil non aderirà al quarto sciopero proclamato per l’8 marzo.