“L’uso, lo studio della parola è la cosa più bella che abbia fatto. L’ansia da prestazione, dice Freud, toglie la dimensione giocosa. Invece ho visto giocare grandi come Dario Fo: mi ha insegnato l’uso della parola giocosa e siamo qui per giocare come dei bambini”. Chi adotta questo tono giocoso e accogliente è Stefano Massini alla prima delle due serate al Maggio musicale fiorentino “LiberaMente sotto le stelle” di martedì 8 luglio, tenutasi nell’auditorium e non nella cavea per l’alto rischio della pioggia.
La serata replica stasera 16 luglio e segue una formula già sperimentata nel teatro Rifredi del capoluogo toscano: il drammaturgo, saggista, regista, da gennaio direttore artistico del Teatro della Toscana che la commissione del Ministero della cultura ha “declassato” da teatro nazionale togliendo punti di valutazione e quindi finanziamenti (ma la contesa non è finita), porta parole su cui invita il pubblico a riflettere con sé stessi scrivere su un quaderno lasciato a disposizione di tutti sulle poltrone e che ognuno porterà a casa. Chi vorrà interverrà pubblicamente alzando la mano. Un rito di gruppo dove si ascolta e si parla. Si tratta di un invito a “scrivere per raccontare quello che ci portiamo dentro. Basta una penna, un quaderno, sedersi e lasciarsi guidare dalla voce di Stefano Massini”, dice il comunicato stampa.
L’appuntamento rivela un dispositivo culturale aperto e a prezzo popolare (l’ingresso costa 5 euro, meno di uno spritz). Firma il progetto il Teatro della Toscana / Teatro nazionale in collaborazione con la Fondazione Teatro del Maggio e l’Accademia sempre del Maggio, con il sostegno di Unicoop Firenze. E già qui Massini dispiega un’idea di teatro tutt’altro che salottiero o d’élite. Al contrario: è confronto e pensarla in maniera diversa è più che ammesso. È, diciamolo, un’azione civile e politica nel senso cosa pubblica.
Allo spettacolo fiorentino ha assistito il sottosegretario del ministero della cultura che si occupa di spettacolo, Giancarlo Mazzi. Un gesto di cortesia apprezzabile, dato che è stata la maggioranza della commissione ministeriale (formalmente indipendente ma con tre commissari su sette dimessi perché contrari alla decisione) a declassare il Teatro della Toscana.
Dietro i formalismi si combatte una battaglia tutta politica perché Firenze e la Regione sono di centro sinistra. Una battaglia di Fratelli d’Italia che Mazzi, ai giornalisti prima dello spettacolo, riassume con queste parole: “Oggi non c’è una egemonia di contenuti perché non è possibile, ma c’è una egemonia di potere. A me piacerebbe togliere la morsa del partito unico, del pensiero unico, dagli artisti e restituire la libertà agli artisti, alla cultura”.
Il “partito unico” per Mazzi sembra essere il Pd o comunque la sinistra. Gli artisti dunque, nessuna e nessuno esclusi, non pensano con la propria testa e invece obbediscono supini a ordini superiori? Anche un Elio Germano o una Fiorella Mannoia, per dirne un paio? Sarebbe interessante la risposta. Per FdI sembra una vera ossessione. Forse gli esponenti e gli elettori di Fratelli d’Italia credono di vivere nell’Unione sovietica al tempo di Stalin e delle purghe. Non guardano mai neanche Mediaset o la Rai? Non interessa loro sapere che un autore italiano è presente ogni anno in qualsiasi cartellone dei teatri stabili (Pergola inclusa), spesso con spettacoli di routine, vale a dire quell’immenso Luigi Pirandello che non fu affatto avverso al fascismo? Però è vero: lo spettacolo di Massini, il suo scavare con noi spettatori nelle emozioni, rivela una sintonia profonda con il sentire di tanti cittadini. Tutti asserviti al Pd? O, chissà, ad Avs o i Cinque stelle?
“LiberaMente” ha le sembianze di una mega seduta di analisi collettiva. La sala è strapiena, alcuni spettatori devono occupare persino i posti a fianco del palcoscenico: siamo in 1200 circa. E il drammaturgo impagina un teatro che è rito civile, collettivo appunto. Accompagnato da un pianista e quattro cantanti dell’Accademia che interpretano arie e duetti Massini lavora sulle “emozioni”: in scena inizia un duetto tra don Pasquale e Norina dal Don Pasquale di Donizetti dopo di che il drammaturgo-attore esclama: “Prova ad ascoltare la tua rabbia dentro, ognuno reagisce in maniera diversa”. La rabbia è il filo conduttore.
Massini invita a declinare partendo da ogni singola lettera della parola “rabbia”. Numerosi spettatrici e spettatori accolgono l’invito, non tutti riusciranno a intervenire. “Perché siamo arrivati a questo?”, domanderà una signora. All’interrogativo diventa inevitabile pensare alla carneficina indirizzata a uno sterminio non dichiarato a Gaza e a quanto l’Europa non intervenga per fermare il governo di Benjamin Netanyahu dal voler annientare i palestinesi, bambini inclusi senza alcun rimorso, non solo la formazione terroristica di Hamas.
Il drammaturgo segue un percorso intorno alla rabbia prendendo arie da tre opere. A Donizetti seguono estratti dal Werther di Jules Massenet (opera del 1892) e del Don Carlo di Verdi (1867), lo scrittore si muove citando Allen Ginsberg e ricordando una tragica caccia alle streghe nella Salem del ‘600 sulla costa orientale del Nord America finché osserva: “La rabbia “all’apparenza oggi è consentita” invece su “quella vera, esistenziale, siamo inibiti”, mentre vediamo in giro “odio”. Eppure, esclama, “la rabbia è una delle emozioni più belle”. Riprenderà la domanda straziante della spettatrice chiedendo: “Perché non si possono fermare i sadici al potere?”
Bella domanda. Il drammaturgo-monologhista cattura l’attenzione minuto per minuto, armato solo di un microfono e di gesti misurati. I sadici al potere con armi belliche proseguono i massacri, donne e bambini compresi, qui raccogliamo stimoli per opporci civilmente e per guardare da vicino la nostra coscienza.