di Manuela Ballo
Puntuale come ogni anno è arrivato il rapporto di Federculture sullo stato della produzione e del consumo culturale in Italia. Il rapporto di quest’anno, il 16°, presentato il 3 novembre, permette non solo di sapere come stanno andando le cose, ma anche di avere un quadro sui processi complessivi degli ultimi vent’ anni, quelli che vanno dal 2000 al 2019, cioè di percepire come eravamo prima del Corona virus e cosa siamo diventati dopo il primo lockdown e alla vigilia del secondo attualmente in corso.
Un primo grande e significativo dato è quello che riguarda le risorse pubbliche che in Italia si investono per lo sviluppo del settore culturale.
Il rapporto evidenzia che c’è stata una significativa riduzione della quantità delle risorse, principalmente perché sono venute meno quelle delle amministrazioni territoriali (regioni, province e comuni) mentre, nello stesso periodo era rimasta invariata la spesa statale. Il raffronto balza agli occhi dal 2000 al 2018, anni in cui il confronto è possibile. Questa spesa era scesa da 6,7 miliardi a 5,7 miliardi, con la perdita quindi netta di 1 miliardo. La situazione non è diventata disperata perché, in questo periodo, per fortuna alcuni stanziamenti del Mibact hanno permesso di evitare il collasso, in ogni caso, questa cifra complessiva ci pone in fondo alle classifiche europee per quel che riguarda l’incidenza della spesa totale in rapporto alla cultura. In Europa questa percentuale è del 2,5 % mentre l’Italia resta ferma all’ 1,6%.
I dati per quanto riguarda la fruizione nei diversi settori hanno subìto oscillazioni con crescite avvenute in alcuni periodi e numerosi cali registrati in altri periodi. Prendiamo ad esempio il cinema: fino al 2010 vantava una crescita del 12%, ma nel periodo seguente perde il 6 % dei fruitori, oppure il teatro, che negli anni precedenti era cresciuto di oltre il 27 %, e che nel decennio che va dal 2010 al 2019 ha visto un calo dell’8,8 %.
Processi analoghi si sono registrati per quanto riguarda i concerti di musica classica e leggera, che crescevano intorno al 20% nei primi dieci anni del 2000 e che, invece, hanno poi visto un calo intorno al 5% nel decennio successivo, dal 2010 al 2019.
Il fenomeno dei musei
Un fenomeno a sé, è stato quello che ha riguardato la fruizione del patrimonio storico e artistico: i musei vedono crescere la partecipazione dei cittadini in maniera rilevante e continua, così come i parchi archeologici e i monumenti, in particolare i cittadini che hanno visitato i musei sono cresciuti del 21,5% in vent’ anni e del 7% dal 2010. Ancor più rilevanti sono le cifre che riguardano i siti archeologici e i monumenti, con un + 36,8% dal 2001 al 2019, e in particolare del + 19,7% negli ultimi dieci anni.
Come si può spiegare un incremento del genere? È evidente che lo si può spiegare con un mutamento nello stile di vita degli italiani e del loro modo di utilizzare il tempo libero. È anche, sicuramente, il frutto dell’intensa attività normativa e riformatrice che ha riguardato, proprio in questi ultimi anni, il settore museale e del patrimonio. C’è, infine, da prendere in considerazione la crescita di attenzione da parte dei media ai temi del territorio, e anche alle iniziative di importanti istituzioni come il Fai.
Da tenere presente, che questo incremento tiene infine conto del fatto che i nostri musei, come ha ripetutamente sostenuto Salvatore Settis, sono un’altra cosa rispetto a quelli di gran parte degli altri paesi, perché nascono in massima parte dalla storia delle città e del territorio che li ospita, e si nutrono di ciò che nelle stesse città è stato prodotto e collezionato, raccontano cioè non solo se stessi, ma la storia e la cultura del nostro Paese.
L’effetto lockdown
L’andamento alterno con punte molto positive come quelle delle visite ai musei, ha subìto un brusco stop in occasione del primo lockdown, e le cose potrebbero farsi ancor più serie dopo gli ultimissimi provvedimenti.
I documenti che offre nel proprio rapporto Federculture sono parziali, ma fortemente indicativi del processo che si è realizzato in quella fase, e sono il frutto di questionari somministrati dalla stessa organizzazione tra il maggio e il giugno del 2020 alla propria base associativa. Questi dati ci dicono che il 90 % degli enti ha bloccato le proprie attività o totalmente, o parzialmente, e l’ 85 % di loro, hanno operato in smart working e che anche la ripresa dell’ attività è stata più lenta del previsto, perché solo il 17% delle aziende associate ha ripreso l’ attività al 18 maggio. L’ impatto sul piano degli incassi e del guadagno è stato rilevante. Il 70% di coloro che hanno risposto al questionario si aspettano perdite economiche che rasentano il 40% del proprio bilancio, mentre il 13% pensa che le perdite saranno superiori al 60%.
L’ attendibilità di questa ricerca è data anche dalla rilevanza degli enti e delle persone coinvolte nella verifica, difatti gli enti raggiungono un pubblico di quasi 13 milioni di persone e hanno una forza lavoro, tra personale dipendente e collaboratori, di oltre 6000 persone.
È del tutto incalcolabile ad oggi quello che potrà accadere in questo vasto settore con le ultime chiusure.
Bisognerebbe che il ministero seguisse con uno specifico osservatorio l’andamento delle dinamiche in corso, sia nel settore pubblico che in quello privato, così da trovare anche soluzioni temporanee. In prospettiva, poi, è indispensabile che si riprenda e si aumenti lo stanziamento destinato al settore da parte sia delle istituzioni locali che da quelle nazionali, facendo diventare il sistema dell’industria culturale perno del nuovo welfare post Covid.