di Daniela Amenta
Della morte aveva detto: “Non ho paura, voglio proprio vedere cosa c’è dall’altra parte”. E chissà se riuscirà mai a raccontarcelo – a suo modo, con quella verve unica – il mistero oltre lo specchio Franca Valeri, che ci ha lasciato oggi dopo aver compiuto pochi giorni fa, lo scorso 31 luglio, 100 anni.
Un secolo attraversato con intelligenza, genio, perfino qualche tocco di cinismo. Una donna libera, indipendente, sfaccettata, divertentissima. In un mondo di cultura, quasi sempre al maschile, lei riuscì ad imporsi, a sovrastare. Mai guitta, sempre e solo brillantissima, sottile, raffinata, modernissima. E colta, ma senza darlo mai troppo a vedere. Questione di eleganza.
Il suo vero nome era Franca Maria Norsa, milanese nel midollo. Attrice, sceneggiatrice, drammaturga di teatro e di cinema, scrittrice, grande appassionata di opera lirica. Dal Teatro dei Gobbi con cui recitò anche a Parigi e a Londra fino al cinema con Fellini e Visconti e l’amatissimo Sordi, dalla tv all’impegno per la salvaguardia della natura (ha lasciato la sua villa di Trevignano al Wwf), dalla voce prestata alla Disney fino alla collaborazione con il rapper Frankie-Hi-Nrg, dai libri – uno, tra i più recenti, scritto a quattro mani con Luciana Littizzetto – alla rilettura di Les Bonnes di Jean Genet e il lavoro con Urbano Barberini.
Avrebbe voluto laurearsi Franca Valeri. Glielo impedirono le leggi razziali per le origini ebraiche del padre. Lo vide piangere quando fu costretto a fuggire da Milano come un criminale. Lei stessa dovette sottostare a mille rocambaleschi sotterfugi, tra cui un’identrità fasulla, per evitare la deportazione. Una giovinezza dolorosa che raccontava sottovoce.
Un personaggio vulcanico, mercuriale, indomito Franca Valeri, sposata con il “socio” di avventura Vittorio Caprioli e poi compagna del direttore d’orchestra Maurizio Rinaldi, madre adottiva della soprano Stefania Bonfadelli. Una vita piena, pienissima.
E poi le maschere, certo, quei personaggi in cui raccontava con esilirante puntiglio le donne affannate, confuse, in bilico tra modernità e vecchi valori: la signorina snob, la sora Cecioni, Cesira la manicure a rappresentare l’Italia del boom, provinciale, mammona, che provava a rialzarsi dal dopoguerra sognando un telefono, un cappottino alla moda o un nuovo tinello marron.
Franca Valeri ha collaborato con tutto il grande mondo della cultura e dello spettacolo, creando stabili, irripetibili sodalizi con le colleghe: Adriana Asti e Lella Costa in particolare. Amava la poesia francese (che traduceva), il teatro colto di Strehler e quello di Fersen e ne era figlia, anche se il successo travolgente arrivò con la radio e la televisione. In scena ha interpretato Goldoni, Pirandello, Genet, Beckett, portando in sala la letturatura di Aldo Palazzeschi e di Abraham B. Yehoshua. E solo per citarne alcuni.
Pungente, inimitabile. Alla morte di Alberto Sordi inviò un telegramma che recitava: “Ciao Cretinetti. Franca Valeri, Milano”. E poi scriveva la signora snob. Scriveva molto. Bellissimo il suo libro pubblicato da Einaudi nel 2019, sorta di autobiografia tra aneddoti, riflessioni, sguardi – “Il secolo della noia” – dove annota: “Quello in cui siamo entrati è il secolo della noia. Aspettavamo il Duemila con la speranza che avremmo visto realizzate cose straordinarie. E tutto lo straordinario che c’è stato vomitato addosso è solo qualcosa di ripugnante. Ci resta questa noia. Noia per il progresso ostinato, per le banalità televisive, per le cattive notizie, per i ciarlatani della politica che hanno scambiato il Parlamento per un teatro, ma non sanno nulla del vero teatro. Ogni tanto mi chiedo: risorgeremo da tutto questo tedio? Non ho una risposta, ma ci sto seriamente pensando”.
Così lucida, così spietata, così meravigliosamente lei. Ci ha lasciato per andare a vedere cosa c’è dall’altra parte. Solo una parentesi, vedrete. Perché Franca Valeri resta e resterà immortale.