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Le parole dell’anno 2025: fiducia e rage bait

Dalle scelte di Treccani e Oxford Dictionary emergono due sentieri opposti nella scelta della parola dell’anno. Non è solo una questione linguistica ma una scelta che interroga il rapporto tra le parole ed il nostro tempo.

Le parole dell’anno 2025: fiducia e rage bait
Fonte: ilsole24ore.it
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23 Dicembre 2025 - 16.28 Culture


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di Lilia La Greca

Le parole custodiscono un potere ancestrale. Attraverso loro si ama e si ferisce, si accoglie e si condanna, si fa giustizia e si legittima l’ingiustizia. Attraverso di loro, si creano legami, costruiamo narrazioni condivise, ci riconosciamo come simili e ci respingiamo come estranei. Ci connettono agli altri e allo stesso tempo definiscono i confini del nostro mondo. Non sorprende, allora, che la scelta di una “parola dell’anno” sia tutt’altro che un gioco linguistico: è un gesto culturale, una presa di posizione sul presente.

Le scelte della Treccani e dell’Oxford Dictionary raccontano due modi profondamente diversi di leggere il nostro tempo. Da un lato, Treccani indica fiducia come parola dell’anno 2025, dopo aver scelto rispetto nel 2024. Dall’altro, Oxford incorona rage bait nel 2025, mentre l’anno precedente aveva puntato su brain rot. Quattro parole, due traiettorie culturali quasi opposte.

Nel motivare la scelta di fiducia, Treccani parla di un bisogno diffuso: quello di ristabilire un legame sociale messo alla prova da crisi politiche, economiche e simboliche. La fiducia non è solo un sentimento individuale, ma un presupposto collettivo: senza fiducia, la convivenza si inceppa.

La continuità con rispetto, parola dell’anno 2024, è evidente. Prima il riconoscimento dell’altro come limite e valore, poi la possibilità di affidarsi reciprocamente. È come se Treccani proponesse una piccola grammatica civile: parole che non descrivono semplicemente ciò che accade, ma indicano ciò che manca e che andrebbe ricostruito. In questo senso, la parola dell’anno diventa quasi un atto normativo, un invito alla responsabilità linguistica e sociale.

Oxford Dictionary, invece, nella scelta di rage bait segue una prospettiva descrittiva: la parola indica un fenomeno culturale specifico legato all’ecosistema digitale in cui l’indignazione diventa un carburante, e l’emozione negativa viene trasformata in valore economico e sociale. L’elevazione di rage bait a parola dell’anno non è un giudizio morale diretto, ma uno specchio del modo in cui le piattaforme online influenzano il linguaggio pubblico e la percezione collettiva, mostrando come la ricerca di attenzione possa guidare la produzione di contenuti che puntano più alla reazione emotiva che all’argomentazione razionale.

Potremmo leggere questo confronto come un dialogo culturale implicito tra due tradizioni che osservano lo stesso presente ma da angolazioni diverse. Non si tratta semplicemente di Italia contro mondo anglofono, né di dizionari “buoni” contro dizionari “cinici”. È piuttosto il riflesso di due modi di intendere il ruolo della cultura e del linguaggio nella società.

La Treccani si colloca in una tradizione umanistica in cui la parola non è mai soltanto descrittiva, ma orientativa. Scegliere rispetto prima e fiducia poi significa assumere che il linguaggio possa ancora indicare una direzione, suggerire un orizzonte etico, richiamare ciò che tiene insieme una comunità.

L’Oxford Dictionary, al contrario, si muove dentro una tradizione più analitica e osservativa. Brain rot e rage bait non propongono soluzioni, non evocano ideali: mettono a nudo i meccanismi. Qui la parola non indica ciò che manca, ma ciò che funziona, anche quando funziona male. È uno sguardo che accetta il conflitto, la distorsione come dati da comprendere prima ancora che da giudicare.

Se prendiamo queste parole e le osserviamo come un unico campo semantico, ragionando oltre l’etichetta “parola dell’anno”, emerge una riflessione più ampia sulla società e sul presente.

Fiducia, rispetto, brain rot, rage bait non descrivono solo fenomeni linguistici o mediatici: raccontano una crisi di relazione, prima ancora che di informazione. Una crisi del modo in cui stiamo insieme, discutiamo, ci riconosciamo come parte di uno stesso spazio simbolico.

Da un lato, fiducia e rispetto evocano ciò che rende possibile una comunità: la disponibilità ad ascoltare, la sospensione del sospetto, l’accettazione dell’altro. Sono parole lente, che richiedono tempo, continuità, memoria. Presuppongono legami che non si esauriscono nell’immediato e una visione del futuro condivisa. Il fatto che vengano indicate come parole dell’anno segnala che questi elementi non sono scontati, ma fragili, sotto pressione, forse persino in via di rarefazione.

Dall’altro lato, brain rot e rage bait raccontano una società accelerata, iperstimolata. Una società in cui l’attenzione è una risorsa scarsa e contesa, e in cui il conflitto emotivo diventa una scorciatoia comunicativa. La rabbia, più che un’espressione autentica di disagio, si trasforma in formato, in strategia, in merce. Il risultato non è solo polarizzazione, ma anche stanchezza: una fatica cognitiva che rende difficile distinguere, approfondire, comprendere. Non a caso brain rot nomina proprio questa sensazione di logoramento mentale, di impoverimento dell’esperienza culturale.

Letti insieme, questi termini mostrano una società divisa tra ciò che consuma e ciò che desidera. Consumiamo contenuti che ci irritano, ci svuotano, ci tengono agganciati; desideriamo relazioni basate su fiducia e rispetto, ma fatichiamo a crearle negli spazi in cui passiamo gran parte del nostro tempo. È una contraddizione strutturale del presente: gli ambienti comunicativi che più influenzano il nostro immaginario sono spesso quelli meno compatibili con le condizioni necessarie alla fiducia.

Questa tensione chiama in causa una responsabilità collettiva. Non solo delle piattaforme o dei media, ma anche di chi parla, scrive, condivide. Ogni parola usata per semplificare, provocare o ferire contribuisce alla creazione di un clima sfavorevole all’essere umano; ogni parola scelta con cura può rallentare, aprire uno spazio, ricostruire un margine di senso. La società che emerge da queste parole dell’anno è una che oscilla tra consapevolezza e assuefazione: sa di essere stanca, sa di essere arrabbiata, ma sa anche di aver bisogno di rallentare.

Forse la riflessione più profonda è proprio questa: la qualità di una società si misura anche dalla qualità delle parole che mette al centro. Se le parole che dominano sono quelle della rabbia e dell’usura mentale, qualcosa si sta consumando. Se, allo stesso tempo, sentiamo il bisogno di nominare fiducia e rispetto, significa che non abbiamo smesso di immaginare un’alternativa. In questo spazio fragile, si gioca il presente: una società che, attraverso le sue parole, rivela non solo ciò che è, ma ciò che teme di diventare e ciò che, nonostante tutto, spera ancora di essere.

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