Un'onda di protesta da Hollywood a Gaza: l'appello di attori e registi per interrompere le collaborazioni con Israele | Giornale dello Spettacolo
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Un'onda di protesta da Hollywood a Gaza: l'appello di attori e registi per interrompere le collaborazioni con Israele

Oltre 1.500 tra attori e registi interrompono le collaborazioni con le istituzioni israeliane, protestando contro la situazione a Gaza. "Non solo un atto politico - scrivono - ma una decisione di coscienza".

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10 Settembre 2025 - 11.05 Culture


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Un’onda di protesta si sta abbattendo sul mondo del cinema internazionale. Circa 1.500 professionisti del settore, tra cui nomi di spicco come Olivia Colman, Javier Bardem e Mark Ruffalo, hanno firmato un appello per interrompere ogni collaborazione con le istituzioni cinematografiche israeliane. La motivazione, esposta in una lettera aperta pubblicata sul Guardian, è la loro “complicità nel genocidio” in corso nella Striscia di Gaza.

L’iniziativa, lanciata dal collettivo “Film Workers for Palestine”, richiama alla mente il boicottaggio culturale che, in passato, ha preso di mira il Sudafrica ai tempi dell’apartheid. In quella circostanza, registi del calibro di Jonathan Demme e Martin Scorsese si rifiutarono di far proiettare i loro film nel Paese, una mossa che contribuì a isolare il regime. Allo stesso modo, i firmatari dell’appello attuale si impegnano a non collaborare con festival, emittenti televisive e case di produzione israeliane, accusate di “giustificare il genocidio e l’apartheid”.

La lettera va a marcare quella che è l’importanza di una risposta diretta e decisa in un momento in cui, a loro dire, “molti dei nostri governi stanno permettendo la carneficina a Gaza”. A unirsi alla protesta ci sono anche figure come le attrici Ayo Edebiri e Tilda Swinton, e il regista Yorgos Lanthimos, dimostrando una mobilitazione trasversale all’industria. Questa iniziativa arriva in un momento in cui il cinema ha già acceso i riflettori sulla drammaticità del conflitto.

Recentemente, al Festival del Cinema di Venezia, il film della regista tunisina Kaouther Ben Hania, ‘The Voice of Hind Rajab’, si è aggiudicato il Leone d’Argento. Il film racconta la storia di Hind Rajab, una bambina palestinese di soli cinque anni, che nel gennaio 2024 venne uccisa a Gaza insieme alla sua famiglia. La sua vicenda, nota per la drammatica telefonata ai soccorsi della Mezzaluna Rossa, è diventata un simbolo delle vittime civili del conflitto.

Il gesto di premiare un film così potente e toccante, a pochi giorni dall’appello dei professionisti del cinema, evidenzia come il mondo della cultura non voglia restare in silenzio di fronte a eventi di tale portata. La pellicola non è solo un’opera d’arte, ma un atto di accusa che porta sul grande schermo la cruda realtà della guerra.

La scelta di questi artisti non è solo un atto politico, ma anche una decisione di coscienza. Rinunciare a collaborazioni significative, in un’industria dove le opportunità sono preziose, dimostra la volontà di usare la propria visibilità per una causa che considerano fondamentale. Non si tratta di un boicottaggio indiscriminato, ma di un’azione mirata contro le istituzioni che, secondo loro, sono attivamente coinvolte nella propaganda e nella normalizzazione di una politica di conflitto.

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