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Le sagre popolari sempre più care mentre nuove feste reinventano la tradizione 

Questa era l’Italia d’estate: un idillio che sapeva in maniera romantica di caffè, mare, monti, Ferragosto e sagre. Ma è davvero ancora così?

Le sagre popolari sempre più care mentre  nuove feste reinventano la tradizione 
Sagra della sfogliatella a Villalfonsina (Chieti)
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25 Agosto 2025 - 12.17 Culture


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di Arianna Scarselli

Vi ricordate le popolari, rustiche sagre di paese? Quelle manifestazioni semplici e arrangiate, frutto del lavoro dei soci delle varie pro-loco, con gli sponsor locali e delle locandine così brutte che per ricavare i dati essenziali (dove-quando-cosa) facevi prima ad affidarti alla tua memoria storica di frequentatore abituale? Già, perché le sagre erano, e in certa parte sono ancora, un simbolo, un’istituzione, un qualcosa di radicato nel nostro Dna: viviamo nell’attesa di quegli eventi, nelle litigate di gruppo purché immancabilmente mancano i guidatori astemi, e nelle sedute di minuziosa analisi e critica enogastronomica e musicale successive.

Le sagre dove sai che ci sarà il solito Dj con la solita playlist che negli anni ha solo accolto qualche nuovo brano ma ha mantenuto il suo scheletro invariato da almeno quindici anni; dove si aspetta il gruppo che rinuncia a ogni forma di pudore e contegno per buttarsi nella pista-campetto di cemento vuota per far partire la serata, seguito poi da tutti i presenti fino alla costituzione dell’immancabile trenino. 

Quei momenti dove le generazioni sono tutte insieme a fare le stesse cose, dove anche se sei in un paese di duemila anime a quaranta chilometri da casa, ti senti accolto da quel clima che, dovunque tu vada resta uguale. Beh, queste sagre stanno sparendo; negli ultimi anni si sono verificati due fenomeni che, procedendo a braccetto, stanno distruggendo questo sistema.

Un articolo dell’anno scorso del Sole 24Ore riportava che “L’affluenza per sagre e feste di paese segnerà un incremento del 63,8% rispetto al 2023. Sono 20mila, ricorda Enit, le sagre realizzate ogni anno in Italia che muovono 48 milioni di visitatori.” Le persone cercano le sagre ma l’aumento dei prezzi sta ora rendendo difficile andarci. Difatti con il carovita e l’inflazione anche i prezzi popolari delle sagre sono diventati un ricordo sbiadito e fino a un certo punto ciò è giustificabile ma, diciamolo, c’è chi si sta approfittando dell’affluenza pur sempre altissima per lucrarci. Ci sono moltissime sagre dove ormai si spende quanto in un ristorante, e non parlo di eventi che propongono ingredienti e lavorazioni particolarmente ricercate ma quelle che erano frequentate da tutti.

E così pure le sagre si stanno gentrificando, diventando posti accessibili con difficoltà e viene lasciato sempre più spazio a trappole culinarie per turisti e svendite selvagge delle tradizioni.

Viviamo nell’epoca del turismo delle checklist, dell’ossessione per poche mete instagrammabili divenute famose per la pubblicità di qualche influencer e della romanticizzazione e mitizzazione di quegli stessi posti. Vediamo arrivare flussi enormi di turisti che però si concentrano nella solita decina di luoghi creando degli squilibri economici e sociali enormi. Per raggiungere questa fama effimera, frutto solo del caso, c’è chi farebbe di tutto.

È così che ci colleghiamo al secondo punto: la reinvenzione della tradizione, deturpata dal suo significato originario, col solo fine di attirare più persone e fare cassa. Già, perché sono sempre di più ogni anno i cibi, i Santi e le Madonne in cui onore nascono feste che affermano di essere eredi delle usanze locali ma che di tipico hanno solo lo stereotipato aspetto. Guazzabugli rattoppati scopiazzati che restano dei successi perché si svolgono in paesini dimenticati da tutti, amministrazioni comunali comprese spesso, dove queste sono le sole occasioni extra routinarie di vita sociale che rompono l’egemonia dell’unico bar. Degli arlecchini bislacchi che facilmente stancano e perciò dopo due-tre anni di successo cadono nell’oblio o diventano terreno di scontro in campagna elettorale. 

Poi vi sono ovviamente le eccezioni, è questo ad esempio il caso di Villalfonsina, paese sperduto in provincia di Chieti, dove la tradizionale Sagra estiva della sfogliatella quest’anno è stata organizzata a giugno invece che ad agosto per evitare la troppo alta affluenza che ha caratterizzato le ultime edizioni, quando tutte le sfogliatelle venivano vendute nel giro delle prime due-tre ore. 

La cosa che più fa riflettere è il vero e proprio “culto social” che si è affermato, tanto che oggi si trovano intere sezioni su Pinterest dedicate al “sagra di paese aesthetic” che dispensano consigli e raccolgono informazioni su come vestirsi, come strutturare lo spazio, cosa sono le bancarelle… Un piccolo vademecum fotografico un po’ fetish.

Andiamo a eventi, ci vestiamo in base a cosa vediamo online e dobbiamo imitare. Siamo inibiti dalla paura del giudizio altrui se non rispettiamo al meglio l’estetica e il gusto che va di moda in quel preciso momento per quel preciso evento sociale.

Ma quindi, siamo davvero così ossessionati dalla tradizione al punto da usarla come etichettatore di pregio e qualità, come necessario giustificatore della creazione di un evento? Una festa nuova, che non si ispira alla tradizione ma si presenta ugualmente come occasione di socialità, di svago collettivo, è etichettata automaticamente come inferiore? Se a Villalfonsina l’anno prossimo organizzano la festa della cucina e cultura brasiliana ci sarebbe davvero qualcosa di male? 

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