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La Serbia sull’orlo della guerra civile

Con la più grande mobilitazione di sempre il paese balcanico in mano a Vučić è in fiamme, in un crescendo di scontri e violenze che appaiono lungi da placarsi, il ponte d’Europa è sull'orlo di una rivoluzione.

La Serbia sull’orlo della guerra civile
In foto: Serbia, 16 agosto 2025
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19 Agosto 2025 - 11.18 Culture


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di Lorenzo Lazzeri

Mentre il mondo guarda altrove, tra Ucraina e Palestina, in questi giorni stanno diventando sempre più violente le proteste civili in Serbia.

Tutto è iniziato con il crollo della copertura della stazione ferroviaria di Novi Sad, avvenuto il 1° novembre scorso e costato la vita a 16 persone; da quel giorno sono esplose rimostranze pacifiche contro la corruzione delle istituzioni serbe e contro l’attuale governo guidato dal Partito Progressista Serbo (SNS), presieduto da Aleksandar Vučić, considerato vicino a Mosca.

L’ISPI (l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, n.d.r.) ne ha fornito un’analisi.

La fase di crisi acuta nella quale la Serbia versa, caratterizzata da una rapida escalation delle proteste antigovernative, ha avuto origine il 12 agosto, quando i primi scontri sono esplosi a Vrbas, a nord-ovest di Belgrado, davanti agli uffici del Partito Progressista Serbo (SNS). La polizia antisommossa è intervenuta per separare i gruppi contrapposti.

Il giorno successivo, gli scontri sono proseguiti a Novi Sad, dove sostenitori del presidente e manifestanti antigovernativi si sono lanciati razzi e altri oggetti, richiedendo nuovamente l’intervento della polizia. A Belgrado, la polizia antisommossa ha usato gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Proteste si sono registrate anche a Kraljevo (dove la polizia ha diviso i gruppi), ma anche a Niš, Čačak e Kragujevac.

Il presidente Vučić ha descritto pubblicamente le proteste come “molto violente”, mentre i media filogovernativi hanno parlato di “terroristi”.

Nonostante la crescente tensione, il 14 agosto i movimenti studenteschi hanno annunciato nuove manifestazioni.Il 15 agosto si è tenuta una grande manifestazione con lo slogan “Mostriamo loro che non siamo un sacco da boxe”. A Belgrado la polizia ha dispiegato veicoli blindati e separato i due fronti. Centinaia di manifestanti sono stati arrestati. Il Ministro dell’Interno Ivica Dačić ha negato l’uso eccessivo della forza, accusando i manifestanti di aver iniziato gli attacchi.

Due giorni più tardi, le tensioni hanno raggiunto un nuovo picco. A Valjevo, circa 100 km da Belgrado, un gruppo di giovani ha lanciato razzi contro gli uffici dell’SNS, provocando un incendio. La polizia ha risposto con lacrimogeni e cariche. Scontri simili si sono verificati anche a Belgrado, dove i manifestanti hanno incendiato cassonetti. Un giovane di 25 anni è rimasto gravemente ferito. Il 17 agosto la polizia antisommossa ha continuato a fronteggiare i manifestanti in diverse città, tra cui Belgrado e Valjevo. Gli uffici del partito SNS sono stati nuovamente presi di mira.

Secondo quanto riportato da Enrico Oliari su notiziegeopolitiche.net, le proteste sono proseguite il giorno seguente a Belgrado, portando a ulteriori arresti. Il cardinale Nemet ha espresso profonda preoccupazione e ha invocato “dialogo e pace”.

Il governo ha condannato la violenza, negato l’uso eccessivo della forza da parte della polizia e suggerito che le proteste siano ispirate da influenze esterne. Al contrario, opposizione e manifestanti denunciano un uso sproporzionato della forza, accusano le autorità di provocazione e chiedono responsabilità. La principale richiesta del movimento, guidato dagli studenti, resta lo scioglimento anticipato del Parlamento e nuove elezioni, che Vučić ha fermamente rifiutato.

La comunità internazionale ha espresso crescente preoccupazione. L’ Unione Europea, il Consiglio d’Europa e esperti ONU per i diritti umani hanno denunciato violazioni delle libertà democratiche. Tra i casi segnalati figura anche un cittadino italiano, Alessio Laterza (45 anni), fermato dalla polizia e privato dell’assistenza legale e della possibilità di contattare l’ambasciata.

Le proteste, inizialmente a trazione studentesca e per lo più pacifiche, si sono trasformate in una forma di “guerriglia urbana” che vede contrapposti cittadini e polizia e anche fazioni di opposta appartenenza politica. Le cause profonde di questa instabilità in Serbia sono la ben nota corruzione sistemica, la percezione di “cattura dello Stato” da parte del partito al potere e il delicato equilibrio geopolitico della Serbia, divisa tra aspirazioni europee e legami con Russia e Cina.

Molti analisti sottolineano la natura “apolitica” del movimento, che vieta simboli di partito, bandiere straniere e strutture organizzative formali. Branko Milanović, economista serbo alla New York University e alla London School of Economics, ha affermato nel suo blog e rilanciato da contropiano.org, che “un movimento apolitico su larga scala porta in ultima analisi a due risultati: dittatura o caos. Poiché il caos non può durare, produce in ogni caso la dittatura”.

Senza una chiara struttura politica, il movimento rischia di non tradurre il malcontento popolare in un cambiamento concreto, finendo per rafforzare proprio le tendenze autocratiche che intende contrastare.

Vučić, dal canto suo, non arretra e rilancia la teoria complottista della “rivoluzione colorata” e denuncia presunti poteri esterni interessati a destabilizzare la Serbia.

Dal 2012, anno della sua ascesa al potere, la Serbia è stata attraversata quasi ogni anno da manifestazioni contro corruzione e autoritarismo. Occorre, tuttavia, osservare che le proteste attuali sono le più vaste, trasversali e durature della storia recente, con un forte carattere civico e un ruolo marginale dei partiti di opposizione.

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