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Premio Campiello: i finalisti

Comunicati ieri a Padova insieme al vincitore del premio Campiello Opera Prima.

Premio Campiello: i finalisti
fonte immagine: AdnKronos
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31 Maggio 2025 - 16.47 Culture


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Come riporta Paolo Martini per AdnKronos, ieri sono stati svelati i cinque finalisti della 63esima edizione del Premio Campiello, concorso di letteratura italiana contemporanea promosso dalla Fondazione Il Campiello ‐ Confindustria Veneto.

All’interno dell’Aula Magna ‘Galileo Galilei’ di Palazzo del Bo dell’Università degli Studi di Padova la Giuria dei Letterati ha votato i cinque finalisti tra gli 81 libri ammessi al concorso dal Comitato Tecnico: il risultato di queste votazioni ha prodotto una cinquina non omogenea ma piena di sfaccettature narrative che si muovono tra sperimentazione linguistica, radici storiche, geografie periferiche e riflessione civile.
Lo stesso presidente della Giuria Giorgio Zanchini, a proposito ha affermato che i testi “propongono temi diversi e pubblicati anche da editori diversi”, segno tangibile di un’editoria viva, “sfaccettata e ancora capace di sorprendere”.
Oltre a Zanchini, fanno parte della giuria: Rita Librandi, Liliana Rampello, Stefano Salis, Alessandro Beretta, Federico Bertoni, Daniela Brogi, Silvia Calandrelli, Daria Galateria, Lorenzo Tomasin e Roberto Vecchioni.

Sono stati ammessi al concorso: al primo turno Wanda Marasco con “Di spalle a questo mondo” (Neri Pozza) con 7 voti, Monica Pareschi con “Inverness” (Polidoro) con 6 voti e Fabio Stassi con “Bebelplatz” (Sellerio Editore) con 6 voti, al secondo turno Marco Belpoliti con “Nord Nord” (Giulio Einaudi Editore) con 6 voti, al quinto turno Alberto Prunetti con “Troncamacchioni” (Giangiacomo Feltrinelli Editore) con 6 voti. Come ha sottolineato il presidente della Giuria Giorgio Zanchini, “propongono temi diversi e pubblicati anche da editori diversi”, segno tangibile di un’editoria viva, “sfaccettata e ancora capace di sorprendere”.

Mentre i cinque autori dovranno attendere il 13 settembre per scoprire il vincitore, è stato attribuito ieri il Premio Campiello Opera Prima, riconoscimento attribuito dal 2004 ad un autore al suo esordio letterario quest’anno vinto da Antonio Galetta con “Pietà” (Giulio Einaudi Editore). È un romanzo d’esordio, ha spiegato Zanchini leggendo le motivazioni, che si distingue per la costruzione corale e per l’adozione di un narratore collettivo – il “noi” – che racconta un piccolo paese del Sud Italia con ironia tagliente e malinconia dolceamara: “la lingua, viva e stratificata, oscilla tra lirismo e grottesco, e si fa strumento di una denuncia elegante e potente contro la degenerazione del discorso pubblico. Una prova narrativa che ha il sapore raro di un classico contemporaneo”.

Zanchini, noto giornalista radiofonico della Rai, al suo esordio come presidente della Giuria dei Letterati, ha dichiarato: “Presiedere per la prima volta la Giuria dei Letterati del Premio Campiello è stata un’esperienza profondamente istruttiva. Ho potuto osservare da vicino, con grande curiosità e ammirazione, la serietà, l’impegno e l’assoluta imparzialità che animano ogni discussione e ogni giudizio sui libri. La letteratura, come il giornalismo che pratico da anni, è uno strumento essenziale per dare forma al caos, per interpretare la realtà e costruire un significato condiviso che ci tiene uniti come comunità. Un premio come il Campiello amplifica questa funzione in modo ancora più profondo. In questi mesi, abbiamo potuto leggere opere che non sono solo testimonianza del nostro tempo, ma che offrono lenti acute e talvolta anche spietate per comprenderlo. È un lavoro che ritengo fondamentale, un contributo tangibile alla qualità del dibattito pubblico e, in ultima analisi, alla vitalità della nostra democrazia”.

Il professore di critica letteraria all’Università di Bologna Federico Bertoni ha avuto il ruolo di osservazione del panorama letterario italiano e ha affermato: “A fronte di una sterminata produzione e di un conformismo narrativo che spesso predilige temi facili per catturare il pubblico, c’è anche chi va controcorrente, cercando una propria voce spiazzante per raccontare quello che ancora non è stato detto, che poi è il compito della letteratura: inventare storie e personaggi per disegnare anche mappe del nostro destino. Possiamo dire che, per fortuna, il romanzo non è finito”.

La cerimonia di ieri è stata anche un’occasione per riflettere sul ruolo della cultura oggi. Raffaele Boscaini, nuovo presidente della Fondazione Il Campiello – Confindustria Veneto, ha ricordato che “in un momento di sfide globali complesse, investire nella cultura significa attrarre giovani qualificati e rafforzare le eccellenze del nostro Paese”. A fare eco, le parole di Paola Carron, presidente di Confindustria Veneto Est: “Il Campiello non è solo un premio, è un presidio culturale, uno spazio di visione e di identità”.

I libri finalisti fanno emergere storie che vanno in profondità tramite una scrittura incisiva. Con “Di spalle a questo mondo” (Neri Pozza) Wanda Marasco si conferma una delle voci più originali della letteratura italiana degli ultimi anni. Il suo romanzo è un canto funebre e visionario, una discesa nei territori oscuri della psiche e della memoria, dove la lingua si fa fitta, avvolgente, ferita. Monica Pareschi con “Inverness” (Polidoro) si cimenta in un’opera straniante, immersa in una dimensione sospesa tra viaggio interiore e paesaggio nordico; una narrazione rarefatta, lucida, dove l’introspezione si fonde con la geografia e la scrittura si accosta con precisione chirurgica al silenzio. Con “Bebelplatz” (Sellerio) Fabio Stassi firma forse il suo romanzo più ambizioso: un intreccio di memoria europea, bruciata dal fuoco della storia, che prende il nome da una delle piazze più tragiche di Berlino; un romanzo dove l’intellettuale e il narratore si incontrano per raccontare le ferite ancora aperte del Novecento. Marco Belpoliti con “Nord Nord” (Einaudi) attraversa un’Italia verticale, dal crinale alpino ai paesaggi dell’immaginazione, in una narrazione che è insieme viaggio fisico e antropologico. Un libro che cerca il senso dell’identità italiana spingendosi verso le sue estreme latitudini. Alberto Prunetti con “Troncamacchioni” (Feltrinelli) con la sua scrittura abrasiva e militante torna a dare voce a una classe operaia smarrita, tra realismo post-industriale e affondi satirici; una scrittura rabbiosa e necessaria, che non ha paura di sporcarsi con il presente.

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