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Eden: ricerca e caduta del Paradiso terrestre

Ron Howard ritorna sugli schermi per esplorare l’interiorità umana, stavolta ispirato da una storia vera

Eden: ricerca e caduta del Paradiso terrestre
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14 Aprile 2025 - 18.31 Culture


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di Margerita Degani

Qual è il senso della vita? Inizia sulla scia di questa difficile domanda il nuovo film di Ron Howard, approdato nelle sale cinematografiche dal 10 Aprile. È il 1929 quando il Dottor Friedrich Ritter e la sua compagna, traumatizzati dal Primo Conflitto Mondiale, decidono di ritirarsi su un’isola disabitata delle Galapagos, con l’obbiettivo di curare i mali del mondo attraverso la meditazione ed un nuovo Manifesto Filosofico. “Il mio obiettivo è scrivere una filosofia radicale che salvi l’umanità dalla distruzione; qual è il senso della vita? Il dolore. Nel dolore si trova la verità e nelle verità, la salvezza”, sentenzia il novello Robinson Crusoe, riassumendo in breve il significato dell’intera vicenda.

Non viene del resto scelto a caso l’ambiente che avrebbe dovuto stimolare e cullare questo nuovo Pensiero: le Galapagos, una terra isolata e sospesa tra mistero, violenza e magia – come veniva descritta dalla letteratura occidentale. In poche parole, un Paradiso terrestre sufficientemente duro da espiare le colpe dell’uomo, ma abbastanza incontaminato e lontano da farsi promessa di nuova rinascita. L’individuo è sempre alla ricerca della possibilità di ricreare la macchia edenica originaria, quel luogo in grado di garantire prosperità e serenità, in cui poter vivere armoniosamente con ciò che lo circonda. Un posto dove la fatica della sopravvivenza è ripagata dal benessere cosmico della propria piccola bolla di realtà.

Il XIX secolo rappresenta forse l’apice di un percorso iniziato durante il XVI e segnato da importanti processi di modernizzazione, legati all’ampliamento dei confini geografici e alle questioni geopolitiche. Si va dai grandi Imperi Coloniali a fenomeni complessi come quelli della Rivoluzione Industriale e Americana, cui si ricollegano inevitabilmente la crescita del capitalismo e del liberismo, oltre alla disponibilità di nuove tecnologie e conoscenze e alla necessità di trovare un compromesso tra spiritualità dell’uomo e filosofie empiriste. Proprio per questo diventa l’Età più adatta ad esplorare le interconnessioni tra Mitologia e Paradiso, così come le loro inevitabili degenerazioni. Chiaramente, terminata l’esplorazione dello spazio urbano e approfondita la conoscenza tanto dell’Europa quanto dell’Africa spetta alle aree esotiche e alle terre perdute il compito di incarnare l’ultima metafora dell’Eden. Quest’ultimo viene interpretato dagli Occidentali con i filtri dell’Orientalismo, dell’Esoterismo e del gusto gotico. Il film non sfugge al paradigma, trattando una storia sospesa tra avventura, giallo e thriller antropologico, come spiega il regista stesso quando parla di “qualcosa di classicamente umanistico e tragico […] per il modo in cui i personaggi affrontano le sfide della natura e del rapporto con sé stessi e con gli altri”.

E l’elemento drammatico non tarda ad apparire. La vita dei due intellettuali tedeschi si complica all’arrivo di altri avventurieri che hanno deciso di seguire il loro esempio, chi per desiderio di costruire qualcosa di duraturo per la famiglia, chi per orgoglio e gloria personale. Sono proprio questi obiettivi individuali a scatenare piccole ritorsioni, destinate però a una rapida e darwiniana escalation di sopraffazioni.

In parte a causa dell’inaspettata tirannia e inospitalità dell’isola e in parte a causa dello stesso animo umano – che inizialmente sembrava bramare solo la pace, ma così non è – il paradiso tropicale si trasforma in un Inferno di pericoli e timori psicologici, vendette e ricatti, doppi giochi e tradimenti. Dalla Baronessa che vuole trasformare la natura incontaminata in business, al dottore che abbandona la sua filosofia di pacifico contatto con la natura per la liberazione di ogni più basso istinto, fino agli equilibrati coloni Wittmer costretti a farsi lupi. Nessuno è più solo se stesso e, soprattutto, nessuno può più sentirsi al sicuro.

Ancora una volta la ricerca e la costruzione di un Eden terrestre non ha funzionato, collassando di fronte all’evidenza della sua irrealizzabilità. L’illusione data da un individualismo sfrenato, la convinzione di valere da soli e poter fare da soli, il desiderio radicato di espandere in modo incontrollato il proprio potere e l’innata spinta alla sopraffazione portano all’impossibilità di realizzare un progetto paradisiaco. Qualcosa di corruttibile vi si insinuerà sempre, perché così è l’indole dell’essere umano, perfino nella sua più comune quotidianità. La Baronessa non vuole solo costruire la Fazenda Paradiso, ma cerca un riscatto dalla vita precedente a costo di menzogna, manipolazione e violenza; il dottor Ritter cura certo la sua parte filosofico-spirituale, ma è anche a caccia di un riconoscimento; Dora si stanca dell’esperienza nel momento in cui si rende conto che né lei né i principi un tempo condivisi sono più importanti per il compagno; gli esploratori di passaggio sono alla ricerca di notorietà; Heinz vuole curare il figlio ed essere un buon padre di famiglia, operoso e prolifico; Margret una buona moglie, una donna apprezzata, per scordarsi delle precedenti umiliazioni. E così via. Tutti vivono la tensione tra il proprio dramma e le proprie speranze, che si fonde con quella degli altri amplificandosi e trasmettendosi alla terra stessa. Questo è l’Inferno che ciascuno vive.

Ma per quanto irrealizzabile, tra spinte propulsive e regressioni, la forza del Mito dell’Eden sta nella sua continua riformulazione e nello stimolo artistico, letterario, spirituale e materiale che è in grado di trasmettere continuamente, rinnovandosi in base alle esigenze e alle caratteristiche di ogni epoca. Così come può aiutare l’individuo a meglio comprendere le tensioni del suo tempo. È ormai un’immagine che porta in sé l’insieme dei valori della società, che – come ogni creatura vivente – tenta, lotta sempre e cerca instancabilmente una strada per innovarsi e rinascere migliore. Non solo il XIX, ma anche il nostro è un secolo di numerosi tentativi di descrivere il bisogno interiore ed esteriore, naturale e artificiale, locale e globale di Paradiso in un momento di importanti cambiamenti socio-politici e tecnologici. Una ricerca, la nostra, che ha sempre a che fare con l’auto-realizzazione e il progresso sostenibile, ma che non sembra neppure disdegnare del tutto la sfumatura del divino che questo concetto porta con sé. 

Riconosco che in questo momento siamo protagonisti di una profonda trasformazione. Tutto procede con grande velocità ed è difficile capire in cosa credere. Data l’attuale situazione ambientale e il diffuso senso di destabilizzazione che viviamo, con l’idea di scappare dalla società e credere di potersi fare una vita più a contatto con la natura, ho ritenuto che questa storia fosse ancora più rilevante. Questo film è un esempio di come alcune persone abbiano provato quell’esperimento, seppur ottenendo risultati molto contrastanti”, conclude soddisfatto il pluripremiato regista, mentre noi aspettiamo trepidanti nuove storie di Paradisi perduti . O è meglio dire caduti?

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