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Microplastiche: la loro presenza nel cervello aumenta sempre più

Nel fegato, nella placenta, nel sangue e persino in alcune arterie che conducono al cuore: in 8 anni è aumentato del 50% il “materiale plastico” negli organi umani

Microplastiche: la loro presenza nel cervello aumenta sempre più
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5 Febbraio 2025 - 18.57 Culture


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Il Washington Post riporta un nuovo studio pubblicato da “Nature Medicine” che mostra l’aumento della presenza delle microplastiche nel cervello umano con l’avanzare del tempo. Sacchetti, bottiglie, pneumatici, poliestere o abbigliamento sintetico sono alcuni fra gli oggetti che possono perdere piccoli frammenti che finiscono nell’aria, nel cibo, nell’acqua e, purtroppo, anche nel corpo umano. Sono proprio quest’ultimi a prendere il nome di “microplastiche”. 

Gli scienziati hanno analizzato 52 campioni di cervello, di cui 28 provenienti da autopsie eseguite nel 2016 e 24 nel 2024. In ognuno di questi sono state ritrovate micro e nanoplastiche, ma sono le concentrazioni in quelli del 2024 a essere preoccupanti. L’ipotesi che i campioni più recenti avessero un numero più elevato di microplastiche è stata dunque verificata, anche grazie al confronto con ulteriori campioni del 1997.

Matthew Campen, professore di tossicologia della University of New Mexico e uno degli autori principali del documento, invita tuttavia a essere cauti nell’interpretare tali dati. Questo perché sebbene la «situazione è peggiore di quanto pensassimo» è anche vero che si tratta di un solo studio che dimostra quanto l’aumento sia in linea con il livello di esposizione degli esseri umani alla quantità di plastica prodotta a livello mondiale, che raddoppia ogni 10-15 anni.

Jamie Ross, professore di neuroscienze presso l’Università del Rhode Island, ha studiato l’effetto delle microplastiche sul cervello dei topi ed elogia la nuova ricerca, sostenendo che l’aumento delle plastiche nel nostro corpo potrebbe inacuire le forme infiammatorie. In un suo studio, Ross e altri ricercatori dell’Università somministrano ai topi dell’acqua con piccole particelle di polistirene, ovvero lo stesso tipo di plastica utilizzato nei contenitori di schiuma plastica e yogurt. Dopo essere stati esposti per tre settimane, i topi hanno dimostrato cambiamenti nel cervello che sono coerenti con i primi marcatori del morbo di Alzheimer. 

In esame sono stati presi anche i cervelli di 12 pazienti deceduti a cui è stata diagnosticata la demenza e il risultato è stato che ognuno di loro avesse una quantità di microplastiche da tre a cinque volte più alta del normale. Tuttavia, ciò su cui premono i ricercatori è non collegare prematuramente le microplastiche a specifici problemi cognitivi: l’elevato numero di “materiale plastico” potrebbe essere, infatti, un effetto della demenza o del morbo di Alzheimer piuttosto che la causa. 

Più che giungere a conclusioni affrettate, lo studio mira a mostrare che pezzi di micro e nanoplastiche sono effettivamente nel cervello umano, l’organo più suscettibile al loro accumulo. I campioni di cervello analizzati, infatti, contenevano da 7 a 30 volte più microplastiche rispetto a quelli di fegato e rene. Richard Thompson, professore di biologia marina presso l’Università di Plymouth e primo scienziato a usare la parola “microplastica”, sostiene che l’importanza di studi come questo stia nel prendere consapevolezza dell’esistenza di associazioni tra microplastiche e  rischi per la salute. Gli esseri umani, purtroppo, stanno entrando a contatto con le particelle anche attraverso l’acqua: queste si trovano persino in quella imbottigliata o del rubinetto.

Detto ciò, Kimberly Wise White, vice presidente degli affari normativi e scientifici presso un gruppo dell’industria della plastica (l’America Chemistry Council), rassicura dicendo che i produttori stanno lavorando per contribuire a ridurre la formazione di tali particelle.

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