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Tiziano Bonini: “La radio del futuro deve trovare un equilibrio tra tecnologia e umanità”

Se efficienza e automazione sono oggi le parole d’ordine che giustificano l’uso dell’Ai, la sfida è salvare l’anima del media che rischia di perdere creatività e incrinare il rapporto fiduciario tra conduttore e ascoltatore.

Tiziano Bonini: “La radio del futuro deve trovare un equilibrio tra tecnologia e umanità”
Tiziano Bonini, sociologo della comunicazione
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9 Dicembre 2024 - 16.39 Culture


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di Lorenzo Lazzeri

È nata Ai-Radio, una start-up ambiziosa che propone una piattaforma tecnologica in grado di automatizzare la produzione radiofonica. Eppure la radio, in principio, era la voce che attraversava l’etere per raggiungere milioni di persone nelle loro case e che nel tempo si è trasformata in una compagna fedele che ti segue ovunque grazie alla sua capacità di ibridarsi attraverso la tecnologia digitale. Ora l’avvento dell’intelligenza artificiale sembra far presagire una rivoluzione di questo media tramite una ridefinizione dei suoi contenuti e delle modalità con cui vengono prodotti e distribuiti.

Ne parliamo con il sociologo della comunicazione Tiziano Bonini che andiamo a trovare nel suo studio all’interno dell’Università di Siena dove insegna.

Professore, da dove nasce questa spinta verso l’automazione nella radio?

“L’automazione nella radio non è certo un fenomeno nuovo e già negli anni ’40, negli Stati Uniti, si svilupparono i primi format radiofonici, strutture rigide che garantivano una programmazione prevedibile ed economicamente vantaggiosa. Negli anni ’80 e ’90, poi, l’introduzione di software per la gestione delle playlist ha segnato una svolta: la musica non era più selezionata da un dj esperto, ma da un algoritmo. Ora, con piattaforme come Ai-Radio, questa evoluzione raggiunge un nuovo apice. Non si tratta solo di automatizzare la musica, ma di creare un sistema in grado di produrre contenuti completi: notiziari, interazioni sui social, perfino programmazioni personalizzate basate sui gusti del pubblico. È una rivoluzione tecnologica che pone interrogativi etici e sociali profondi.”

E quali sono le implicazioni per i professionisti del settore?

“La promessa di queste tecnologie è quella di liberare risorse, riducendo i costi operativi e migliorando l’efficienza. Ma questa logica, prettamente aziendale, ha un prezzo. Già con i software di programmazione automatica delle playlist abbiamo assistito a un fenomeno che gli studiosi chiamano ‘de-skilling’ dove le competenze creative e produttive vengono rese superflue, i lavoratori perdono autonomia e prestigio. In sostanza, si chiede a meno persone di fare di più, spesso con strumenti che svuotano di senso il loro lavoro. Stiernstedt, ad esempio, parla di dj che si sentono ormai ridotti a meri esecutori. ‘Non mi considero più un dj, ma una persona che segue istruzioni’ è una delle frasi più emblematiche del suo studio; questo è il rischio principale: ridurre il lavoro umano a un ingranaggio secondario, mentre il vero controllo è esercitato dai software.”

Ma l’intelligenza artificiale non potrebbe anche aprire nuove opportunità per la creatività?

“È vero, ci sono anche elementi positivi e l’integrazione di nuove tecnologie richiede competenze più avanzate, un fenomeno che chiamiamo ‘up-skilling’. Ad esempio, oggi un conduttore radiofonico deve saper gestire piattaforme digitali, creare contenuti per i social e interagire in tempo reale con il pubblico online e questi software possono arricchire il suo ruolo e offrire nuove possibilità espressive. Queste opportunità non sono equamente distribuite. Le grandi emittenti nazionali possono permettersi di investire in formazione e infrastrutture, ma le piccole stazioni locali rischiano di essere travolte e per loro, l’automazione non è una scelta, ma una necessità per sopravvivere in un mercato sempre più competitivo.”

Che ruolo gioca la creatività in questo nuovo panorama?

“La creatività è il cuore della radio, o almeno dovrebbe esserlo, ma quando affidiamo la produzione all’intelligenza artificiale, rischiamo di ottenere una creatività ‘media’, costruita su pattern statistici, e sarà una creatività che si basa su ciò che funziona già, senza osare, senza sorprendere. Chi è del settore sa molto bene che questo va contro l’essenza stessa della radio, quella che abbiamo conosciuto in passato e che ha sempre avuto il coraggio di sperimentare sfidando persino le regole. Negli ultimi anni la creatività è diventata un’arma retorica per giustificare scelte aziendali. In realtà, spesso si tratta di un controllo mascherato dove la fantasia viene piegata alle logiche del mercato, ridotta a uno strumento per vendere più pubblicità.”

Qual è, dunque, il futuro della radio?

“Il futuro della radio dipenderà dalla capacità di trovare un equilibrio tra tecnologia e umanità. L’Ai può essere un alleato prezioso, se usata per liberare risorse e supportare la creatività umana, ma se diventa uno strumento per standardizzare i contenuti e ridurre il lavoro umano a un costo, perderemo qualcosa di fondamentale: il rapporto intimo e autentico che la radio ha sempre saputo instaurare con il suo pubblico. Se la radio vuole sopravvivere, deve ricordare ciò che la rende unica: raccontare storie, emozionare, creare legami. Ed è certo che nessuna macchina potrà mai sostituirlo.”

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