I canali Whatsapp offrono una nuova opportunità al giornalismo tracciando una nuova strada per l’informazione

Community “sane” che veicolano informazioni a richiesta degli utenti ma limitando i problemi degli altri social

I canali Whatsapp offrono una nuova opportunità al giornalismo tracciando una nuova strada per l’informazione
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redazione Modifica articolo

7 Ottobre 2024 - 21.48 Culture


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Da non molto anche in Italia, con il nuovo aggiornamento di Whatsapp, sono apparsi i “Canali”, una nuova modalità informativa che, a giudicare dai numeri in costante espansione, sta entrando pian piano nelle grazie degli utenti. Possiamo aggiungerli nella vista “Aggiornamenti”, sotto allo “Stato”, addirittura possiamo crearne uno anche noi. Una opportunità che però, come per tutto quanto incroci social e comunicazione, ha delle caratteristiche da rispettare, anzitutto qualità, tempestività e aggiornamento, oltre alla coerenza, che sono anche quelle del buon giornalismo.

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Ecco, dunque, che anche da noi, dopo Usa e Gran Bretagna, le testate di informazione, sia generaliste che verticali, colpite dalle limitazioni imposte dagli algoritmi di Facebook e Google, stanno utilizzando questa nuova utilità, e registrano il gradimento o meno dei lettori – rigorosamente anonimi per rispetto della privacy – solo attraverso la famosa modalità che incrocia grafica e sintesi, le emoticon, evitando la possibilità di commentare, soprattutto con insulti. In base alle reazioni ‘visive’, sono a disposizione dei gestori dei canali dati ed elementi per comprendere come è stato accolto quel contenuto.

Per gli utenti, oltre alla garanzia dell’anonimato, nessun invio di comunicazioni non richieste, nessuna e-mail che intasa la posta elettronica e spesso non viene letta: solo iscrizione/disiscrizione. E qui sta la scommessa per chi apre un canale: trovare i modi per far aumentare i propri utenti, evitare che lo abbandonino. Di certo, come anche su Instagram, in questo modo è facilitata la creazione di broadcast-community verticali e l’interazione con i propri utenti, che possono premiare – anche qui vale il vecchio, caro passaparola – o meno. Si tratta di un territorio ancora abbastanza vergine, almeno in Italia, e la scommessa si batte sempre con un’arma: i contenuti di qualità. Ne vedremo presto gli sviluppi anche da noi, se le testate sapranno reggere il confronto con i propri utenti.

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Guardando ai numeri all’estero, in Usa i canali registrano attualmente un alto impatto: 15 milioni di iscritti per Cnn, quasi 14 il New York Times, 5 milioni il Wall Street Journal; in Europa, la Bbc è seguita da quasi 10 milioni di utenti. In Italia, i numeri sono ovviamente meno altisonanti, ma in crescita continua: per citare solo le più conosciute, l’Ansa, la storica agenzia di stampa, è in testa con 312mila iscritti, il Corriere della Sera ne conta quasi 200mila, La Repubblica 175mila, il Sole24Ore 149mila (anche per i temi più specialistici).

Dietro a tutto questo, il colosso Meta (che ha anche in scuderia sia Facebook che Instagram), con i suoi pro e contro editoriali. Ha dichiarato la responsabile di prodotto, le cui frasi sono state riprese da Alessandro Frau nel suo articolo per Agi: “Non è come usare i social media tradizionali, perché l’utente controlla ciò che vuole vedere e può controllarlo quando vuole. Oltre alla messaggistica privata, le persone volevano sapere di più su determinati argomenti, realtà e organizzazioni attraverso WhatsApp. Ce lo hanno chiesto”.

I canali, dunque, offrono tantissimi contenuti su molti fronti (brand, artisti, società sportive, di intrattenimento, giornali…), ma è sempre l’utente, alla fine, a costruirsi la sua lista. Si tratta di una nuova opportunità di scelta per gli utenti – e distributiva per i content provider – che per ora sembra essere apprezzata.

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Sullo sfondo, resta l’atavico problema della personalizzazione dei contenuti, che chiude l’utente nei propri interessi, facendogli in genere perdere l’opportunità di scoprirne di nuovi.

a cura di Lu. Ma.

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