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La scomparsa di Donald Sutherland: addio a un'icona del cinema

Ingegnere mancato, grande nel teatro e conosciuto per la sua grande presenza in oltre un centinaio di film ha deposto le redini, del suo vitale cavallo, nelle mani del figlio.

La scomparsa di Donald Sutherland: addio a un'icona del cinema
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21 Giugno 2024 - 14.00 Culture


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Il 20 giugno 2024, la comunità di Hollywood ha appreso con tristezza, ma non con sorpresa, la notizia della scomparsa di Donald Sutherland. L’attore canadese, 88 anni, si è spento a Miami dopo una lunga malattia che lo aveva tenuto lontano dal suo amato Canada. L’annuncio è stato dato dal figlio Kiefer, celebre attore a sua volta.

Nato il 17 luglio 1935 nel distretto canadese di New Brunswick, Donald McNichol Sutherland crebbe tra la Nuova Scozia e Toronto in una famiglia di modeste possibilità e con sangue misto scozzese, tedesco e inglese nelle vene. Sutherland incarnava perfettamente la dualità culturale del Canada: europea nel nocciolo con buccia americana.

A 22 anni, dopo aver conseguito il diploma da ingegnere, Sutherland scelse la recitazione partendo per l’Accademia d’arte e recitazione di Londra che lo portò in seguito a una stagione teatrale in Scozia. Come molti della sua generazione, iniziò la gavetta in televisione con piccole parti alla BBC e nei film horror della Hammer, dove regnava Christopher Lee.

La svolta arrivò con un ruolo accanto a Roger Moore nella serie “Il Santo”. Il futuro 007, convinto del talento di quello “spilungone canadese”, lo spinse a partecipare al casting di “Quella sporca dozzina” di Robert Aldrich e con il successo di questo film del 1967, si aprirono a Sutherland le porte di Hollywood.

Curiosamente, il suo vero debutto cinematografico fu in Italia con “Il castello dei morti vivi” (1964), diretto da Lorenzo Sabbatini e Luciano Ricci con una duplicità professionale tra Europa e America che caratterizzò tutta la sua carriera.

Gli anni ’70 furono il periodo della consacrazione, quando Sutherland trovò il suo perfetto pigmalione in Robert Altman, che lo fece brillare in MASH (1970) accanto a Elliot Gould; a questo seguirono ruoli non marginali in Klute di Alan J. Pakula, Il giorno della locusta di John Schlesinger, Animal House di John Landis e Terrore dallo spazio profondo di Phil Kaufman. Ancora una volta, però, fu l’Italia a regalargli i ruoli che definirono la sua statura attoriale con l’interpretazione lunare di Giacomo Casanova nel film di Federico Fellini e lo spietato e cattivissimo Attila  in Novecento di Bernardo Bertolucci. Sutherland ricordava con humor queste esperienze, raccontando come Fellini avesse buttato dal finestrino i suoi libri su Casanova, dicendogli: “Questo non è un film su Casanova. È un film su di me“.

Dagli anni ’80 in poi la sua presenza divenne garanzia di qualità e successo nei generi più diversi: dalla spia tedesca in La cruna dell’ago al padre di famiglia in Gente comune, dal parroco detective ne I delitti del rosario all’enigmatico funzionario in JFK, fino allo spietato Presidente nella saga di Hunger Games.

Sutherland si distingueva per il suo stile recitativo unico, in cui trionfavano l’ironia, l’understatement e una voce dai toni bassi e inconfondibili. Pur non essendo convenzionalmente bello, possedeva un fascino seduttivo che lo fece emergere come un “New Lover”. Si muoveva con la leggerezza di un ballerino e, pur non essendo destinato ai ruoli da eroe, giganteggiava anche e soprattutto nei ruoli da “cattivo”.

Impegnato politicamente, negli anni ’70 fu sorvegliato dall’Fbi come possibile sovversivo per le sue dichiarazioni contro la guerra in Vietnam, un periodo in cui era legato alla sua seconda compagna, Jane Fonda. Nonostante una carriera di oltre 130 film, Sutherland non ricevette mai una nomination all’Oscar per le sue interpretazioni. Tuttavia, ottenne altri prestigiosi riconoscimenti, tra cui un Golden Globe, un Emmy e un Oscar onorario nel 2017 per il suo contributo al cinema.

Colto e appassionato d’arte, Sutherland amava il cinema al punto che i suoi cinque figli hanno nomi legati ai registi con cui ha lavorato. La sua voce vellutata e baritonale gli garantì anche una dimensione da grande narratore, come dimostra la sua partecipazione alle Olimpiadi invernali di Halifax dove si è guadagnato, da parte del suo Canada, un ultimo omaggio attraverso un francobollo con la sua effige che lo ha riconosciuto come una delle sue icone culturali più importanti.

Sutherland ha affrontato la morte con la stessa ironia con cui aveva vissuto. Raccontava di essere stato malato per tutta la vita – poliomielite, febbre reumatica, epatite, scarlattina, meningite – e di aver perfino sperimentato un breve coma sul set de I guerrieri di Clint Eastwood.

Con la scomparsa di Donald Sutherland, il cinema perde uno dei suoi interpreti più versatili e carismatici. Ci lasciano quegli enormi occhi azzurri ironici, a volte severi o ambigui, che sullo schermo sembravano schizzare dalle orbite. La sua carriera anomala, la sua faccia enigmatica e la sua capacità di recitare senza strafare lo hanno reso un’icona indimenticabile del grande schermo.

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