Il valore ritrovato dell’opera di J.R.R. Tolkien | Giornale dello Spettacolo
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Il valore ritrovato dell’opera di J.R.R. Tolkien

La mostra alla Galleria Nazionale di Roma ha permesso di riflettere senza pregiudizi sul valore dell'opera dell'autore. Il suo amore per le lingue. I suoi complessi rapporti con il mondo letterario dell'epoca. I suoi personaggi più noti nascono dalla vita quotidiana

Il valore ritrovato dell’opera di J.R.R. Tolkien
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18 Marzo 2024 - 14.17 Culture


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di Margherita Degani

A più riprese, quest’anno, il nome di Tolkien è riecheggiato in molte e differenti occasioni. Ricorrendo il cinquantesimo anniversario dalla sua prima pubblicazione in Italia – tutt’altro che scontata, in base alle testimonianze delle lettere agli Editori – era del tutto comprensibile che questo accadesse. Il momento più alto di questa ricorrenza è la mostra organizzata presso la Galleria Nazionale d’arte Moderna di Roma, in collaborazione con l’Università di Oxford e numerose altre associazioni. E’ stato possibile vedere più di 1300 oggetti che narrano la vita e gli studi di questo grande autore, accompagnati da pannelli esplicativi ed allestimenti scenografici.  Eppure, nonostante l’innegabile celebrità che lo accompagna, Tolkien è stato un autore particolarmente sottovalutato dall’élite letteraria e, di conseguenza, dal mondo dello studio e dell’insegnamento. Qui da noi, del resto il mondo del Fantastico ha tardato ad affermarsi visto come un sottogenere letterario. C’è voluto il cinema e la televisione per rendere il “Fantasy” un genere amato non solo dai bambini ma anche da masse di lettori, soprattutto giovani. 

Non avevo, credo, più di quattro anni quando feci il mio primo ingresso nella Terra di Mezzo, regione incantata ed affasciante, immaginaria e terribilmente vera, che in un modo o nell’altro – come è accaduto a molti lettori – è rimasta impressa nei miei ricordi e nella mia mente. Allora incapace di andare oltre la fascinazione di un ambiente popolato da magia ed esseri misteriosi, con il passare degli anni s’è fatta strada la consapevolezza di un valore ben più profondo e sfaccettato, esito dell’acuta intelligenza e della grande cultura del suo principale creatore. 

Senza tediare il lettore con un asettico elenco di dati biografici – e dopo l’esperienza di aver visitato la mostra-  è importante soffermarsi su alcuni degli aspetti che maggiormente segnano la vita e l’opera di J.R.R. Tolkien, imprimendo loro la direzione che tutti conosciamo, partendo dal suo interesse per le lingue, intese come oggetti storici e mutevoli.

Fin dalla tenera età, infatti, manifestò un’attitudine creativa, capace di inventare veri e propri linguaggi, a partire dalla trasformazione e dalla ricombinazione di idiomi – soprattutto quelli nordici – già esistenti. Questo “vizio segreto”, come lo definisce egli stesso, sconfina oltre il banale hobby per concepire i componenti della lingua come qualcosa di più di semplici lemmi astratti e privi di un contesto. “Per potere essere veramente convincenti e dunque belle e vere – spiega in una lettera – anche le parole inventate hanno bisogno di uno sfondo, di un’ambientazione, di una rete di storie, e infine di una mitologia completa”.

In maniera simile, un’altra passione fu rappresentata dalle Lingue e dalle Letterature dell’Età di mezzo che, a lungo giudicata oscura, Tolkien invece percepì sempre in termini di luminosità e ricchezza culturale. All’università tenne numerosi corsi sulle differenti forme dell’ Inglese antico e del medio inglese -soggetto principale dei suoi studi- così come sulla filologia germanica, il gotico, l’antico islandese ed il gallese medievale. Aveva da sempre mostrato, del resto, un’incredibile predisposizione all’apprendimento di lingue straniere.

Oltre questi due pilastri fondativi, è altrettanto necessario sottolineare l’influenza creativa che ebbero sull’autore i diversi gruppi culturali legati al suo nome, primo fra tutti quello dei TCBS (Tea Club, Barrovian Society). La relazione di amicizia e confronto con Christopher Wiseman, Robert Quilter Gilsone Geoffrey B. Smith si fece, infatti, strettissima; per la prima volta, probabilmente, si sentì parte di una sola, forte entità che condivideva talento, desideri, progetti, idee, consigli, ma soprattutto Arte. Quel sodalizio, cosa molto importante da sottolineare, credeva in una vera e propria missione, in una “scintilla di fuoco che, certamente nel suo insieme se non ai singoli, era destinata ad accendere una nuova luce; oppure, ed è la stessa cosa, a riaccendere nel mondo una luce antica”Non erano rivoluzionari dell’arte, come accadeva a molti in quegli stessi anni, bensì protettori della miglior parte del passato, intenti a ricordare alla società tutto ciò che di buono era stato dimenticato, anche a causa della guerra.  Solo Wiseman e Tolkien sopravvissero al conflitto dopo l’arruolamento, covando da lì in poi un senso di colpa che mai scomparve e che probabilmente portò lo stesso Tolkien a scrivere e creare Il Signore degli Anelli. Il crollo dell’ordine fino ad allora conosciuto e l’enorme shock condussero, infatti, molti pensatori ed artisti a riflette sulla possibilità di realizzare sistemi perfetti, mondi nuovi e razionali, che diminuivano così la dignità dell’individuo nel nome della scienza e di un supposto bene comune. 

Tolkien non fece questo. Al contrario, desiderava contrastare tali idee, mettendo in gioco sé stesso e la dignità dell’essere umano, da ricercare nel passato della realtà, non in un futuro immaginario. Accanto poi al TCBS, gli Inklings, altro circolo informale riunito attorno alla figura sicuramente carismatica di C.S. Lewis, con cui l’autore seppe stringere una nuova ed importante amicizia. Il tema principale delle loro dissertazioni era forse quello riguardante la natura e la funzione delle storie: miti e belle menzogne, come pensava Lewis o modalità nobile, per quanto imperfetta, di esprimere verità universali per l’uomo, come riteneva al contrario Tolkien? 

Lingue storiche, abilità immaginative, necessità di confronto, natura della narrazione, dignità umana e necessità di uno scopo, finora citati, sono nodi centrali e questioni alla base del suo impegno letterario, nonché della sua convinzione che la creatività umana sia un grande dono di Dio. Nondimeno, una predilezione per le cose minute e domestiche, senza le quali non avrebbe mai potuto scrivere Lo Hobbit o creare Frodo e Sam Gamgee; questo il nesso tra l’alto ideale epico-mitologico, in grado di creare una storia universale, ed il piccolo ordinario, che tutti conoscono e che nasconde la più grande forza del suo (e forse non solo) Mondo. Una semplicità ed un attaccamento al quotidiano che caratterizzò anche la sua vita professionale, sempre ben equilibrata con quella familiare. Grande studioso e scrittore, che avrebbe forse potuto produrre di più in termini accademici, si ricordò sempre di essere marito e padre, senza percepire una frattura tra le due dimensioni.

C’è ancora chi si domanda quale sia, alla fine di tutto, il valore dell’opera di Tolkien? Quale è il segreto di un successo che l’ha portata a essere la terza più venduta dopo Bibbia e Corano, con numerose riappropriazioni pop e riscritture? La risposta sta nell’essere un grande testo, una favola sicuramente – storia fatta di storie – ma anche un intreccio di riferimenti intertestuali storici e filosofici. Si tratta di un vero e proprio mondo, completo e complesso, fatto di lingue, popoli e genealogie con una storia specifica: un racconto universale, al di là di una singola appartenenza culturale. L’autore è riuscito a trasfigurare il dramma di un secolo come quello del Novecento, fatto di perdita e nostalgia – che bene si percepiscono nel testo – in un’epica di speranza che vuole salvare quello che di buono rimane sotto le macerie: la tradizione, il senso di comunità e solidarietà tra uomini, il rispetto e, sopra ogni cosa, in una società che punta sempre di più alla coercizione di mente e autonomia, la difesa di tutto ciò che è umano.

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