Plagio: il sottile margine tra autorialità e riproduzione a trent’anni dal “fair use” americano | Giornale dello Spettacolo
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Plagio: il sottile margine tra autorialità e riproduzione a trent’anni dal “fair use” americano

La battaglia fra New York Times e OpenAi/Microsoft dimostra quanto sia difficile l’equilibrio fra protezione del diritto d’autore e la promozione della condivisione delle conoscenze in rete

Plagio: il sottile margine tra autorialità e riproduzione a trent’anni dal “fair use” americano
New York Times contro OpenAi e Microsoft
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Marcello Cecconi Modifica articolo

8 Marzo 2024 - 15.02 Culture


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Si sa come il digitale e le piattaforme in particolare abbiano reso la creazione e la condivisione di contenuti più accessibili a tutti, sollevando importanti questioni come quella legata al plagio. L’atto di presentare il lavoro altrui come proprio, il plagio appunto, rappresenta una violazione fondamentale dell’integrità intellettuale e va oltre la mera riproduzione di parole.

In un mondo sempre più connesso e digitalizzato, la definizione di ciò che costituisce plagio con il delicato margine tra autorialità e riproduzione, è tema centrale ma spesso soggetta a scorretta interpretazione. La legge, con qualche differenza fra continenti, riconosce la necessità di tenere in equilibrio il riconoscimento del diritto d’autore con la promozione della conoscenza in rete.

Questo equilibrio può diventare sfocato di fronte a casi complessi di opere dove l’ispirazione e la riproduzione si influenzano reciprocamente. Ci sono campi, infatti, come quello delle arti e delle scienze, dove la reciprocità è parte intrinseca al processo creativo con artisti e studiosi che attingono spesso da opere e idee dei loro predecessori. In questi casi la grande sfida sta nel distinguere tra l’ispirazione originaria e il suo plagio.

Negli Stati Uniti il fair use è un concetto legalizzato che consente l’uso di opere protette da copyright senza il consenso dell’autore, a condizione che tale utilizzo sia giudicato equo. Questa legge nata trent’anni fa, il 6 marzo 1994, prevede una serie di fattori da considerare per determinare se un uso può essere considerato “fair” (giusto), tra cui lo scopo, la natura, la quantità e l’effetto sull’uso commerciale dell’opera.

A differenza degli Stati Uniti, l’Unione Europea non ha una normativa unificata sul concetto fair use ma su quello di “uso lecito” o “uso consentito”, che offre alcune eccezioni al diritto d’autore più specifiche e limitate rispetto al fair use. In Italia, la legge sul diritto d’autore prevede eccezioni assimilabili a quelle dell’Unione Europea tanto che con l’art. 70 della legge sul diritto d’autore, adeguato nel 2003 alla direttiva Ue, ne delinea solo alcune e ben precise.

Ma nemmeno il fair use, strumento avanzato e flessibile per bilanciare la protezione dell’opera originale e la promozione della creatività, riesce a mettere ordine e pace fra le piattaforme digitali e il mondo dei media statunitensi. Non è solo questione di principio, infatti, il motivo per il quale il New York Times si è scatenato contro l’intelligenza artificiale di ChatGPT che fa parte di OpenAi di Musk e C. e Copilot all’interno di Microsoft, sostenendo che queste avrebbero addestrato i propri modelli di intelligenza artificiale copiando milioni di articoli pubblicati dalla testata.

Le citazioni e l’attribuzione delle fonti restano ancora gli elementi per mantenere la trasparenza e il rispetto della proprietà intellettuale poiché oggi non possono essere risolutivi nemmeno i software che sanno identificare similitudini tra testi. I loro risultati, infatti, richiedono comunque un discernimento umano per essere interpretati all’interno del contesto.

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