C’è un mondo che si sta inabissando per il Covid19 e che ci procura cibo, acqua, elementi di sopravvivenza. Non produce il pane e l’acqua che sgorga dal rubinetto, produce letteratura, arte, cultura e, per quanto affrontiamo qui, spettacolo dal vivo, suoni, parole, azioni. Dopo il pane del forno e l’acqua pulita per tutti, senza le arti siamo zombi, cadaveri ambulanti, tanto per sfruttare una metafora fin troppo citata in questi tempi da virus globale.
L’Agis, Associazione Generale Italiana Spettacolo che raccoglie le sale cinematografiche e gli imprenditori dello spettacolo dal vivo, fornisce stime drammatiche: il teatro di prosa (che già non navigava nell’oro) perde da solo 20 milioni di euro a settimana ed è a quasi 200 milioni perduti. «Il teatro in video è un surrogato. Forse la messa in tv è valida, ma il teatro no. Anziché continuare a fare spettacoli in streaming, servirebbe una enorme campagna promozionale con slogan, spezzoni, spot» auspica Gigi Proietti in una doppia pagina sul Fatto Quotidiano di oggi primo maggio.
Tra i primi provvedimenti il ministro dei beni e attività culturali Dario Franceschini ha risposto mettendo un fondo collettivo di 130 milioni di euro e garantisce ne arriveranno altri 20 milioni fuori dal bilancio del Fus (il finanziamento statale del Fondo unico dello spettacolo), 13 milioni dalla copia privata per autori, interpreti ed esecutori che abbiamo redditi inferiori a 20 mila euro e cinque milioni per lo spettacolo viaggiante. Nel frattempo tante voci cercano ipotesi concrete su come ripartire e quando, con lo spettacolo.
Valga allora riassumere alcune proposte dell’Agis presieduta da Carlo Fontana scaturite da confronti serrati con chi lo spettacolo dal vivo lo fa ogni giorno e che l’associazione ha presentato ieri, 30 aprile, al ministro e quindi al governo e al comitato tecnico-scientifico. Il documento, puntualizza Fontana, ha coinvolto «tutti i rappresentanti tutti i rappresentanti di categoria, da Federvivo ad Anec (gli esercenti del cinema, ndr)» e fissa «le linee guida per poter riaprire in sicurezza tutti i luoghi dello spettacolo», dai teatri ai cinema.
A scanso di equivoci, l’Agis propone misure a livello nazionale valide per tutti, non che ogni regione faccia come le pare, e la priorità resta «la tutela della salute collettiva e della sicurezza degli operatori a contatto con il pubblico».
Spettacoli all’aperto, al chiuso, e un “cronoprogramma”
Quali sono le proposte? Intanto distinguere tra spettacoli all’aperto, distinguendo tra quelli con posti a sedere e quelli in piedi, e spettacoli al chiuso. Dopo di che lo spettacolo chiede un calendario, un “cronoprogramma”, da rivalutare mese per mese proporzionato all’auspicato calo dei contagi e che almeno dia una prospettiva sui tempi.
Per gli spettatori. L’Agis propone che gli organizzatori possano installare “dispenser di soluzioni disinfettanti ad uso del pubblico”, informando a dovere i medesimi spettatori, “igienizzando” periodicamente tutto e qualunque superficie toccata, che il personale di servizio abbia adeguate protezioni. Ancora: vendere i biglietti per via telematica, eventualmente sul posto, dando posti a «scacchiera», cioè una poltrona occupata e una vuota con deroghe per coppie e gruppi di conviventi. Gli organizzatori raccomanderanno l’uso della mascherina agli spettatori ai quali rilevare la temperatura corporea (senza contatto). Ancora: far sì che all’ingresso e all’uscita e in eventuali code gli spettatori mantengano la distanza di sicurezza.
Alla fine il pubblico da un punto di vista pratico è il problema tecnicamente più facile. Igienizzando tutto e alternando posti vuoti e occupati le misure di sicurezza possono essere garantite. Il guaio qui è di natura economica e per il teatro o per l’imprenditore: metà o meno degli spettatori significa incassi falcidiati mentre i costi degli allestimenti o dei concerti salgono per tutte le misure di sicurezza.
Per le produzioni
L’Agis propone che le produzioni, ovvero il lavoro, possano ripartire, sempre in sicurezza e con possibilità di mantenere le distanze. Vale per i teatri, per i set cinematografici. Paragrafi specifici valgono per i settori per esempio di un teatro musicale. Dove emergono problemi molto complicati da risolvere.
L’orchestra. Una compagine di un centinaio di musicisti su un palco, per non dire di una formazione nella “buca” del teatro per le opere liriche, vede tutti gli elementi collaborare a distanza ravvicinata per creare un suono unico, con gli archi che hanno due musicisti a leggio e uno dei due volta la pagina. Oppure pensiamo ai fiati: emettono per l’appunto fiato e, con il Coronavirus, quel fiato può diventare via di contagio? Dice allora l’Agis: gli strumenti ad arco e le percussioni potranno stare a distanza e non più vicini e con mascherine: occorrerà allora ridurre il numero dei musicisti all’opera di volta in volta oppure distribuirli in uno spazio più ampio. Ma i fiati? Non possono certo suonare con le mascherine né in prova né in concerto. L’ipotesi dell’Agis è di una distanza tra musicisti superiore a un metro e pannelli divisori trasparenti (inciderà sul suono, ma l’alternativa è il silenzio totale). Davvero complicato risolvere il problema della “buca” per le opere: lo spazio è ristretto. Quindi si potranno allestire opere che prevedono compagini ristrette e non tutto il repertorio (per il repertorio ottocentesco alla Verdi si fa difficile) mentre la proposta Agis dei pannelli divisori anche in buca per i fiati sembra difficilmente praticabile, se avete in mente com’è una “buca” d’orchestra.
I cantanti, solisti e coro? Cantano con la mascherina? Ovvio che no. Allora la proposta è che le usino in ogni fase del lavoro, prove o meno, tranne che mentre devono appunto cantare.
La danza? I corpi si avviluppano a uno o due metri l’uno dall’altro? Passi per la mascherina, ma i ballerini non possono tenere la distanza: in una lezione, in scena o nelle prove no. Allora la proposta è di ricorrere a coreografie che consentano la distanza oppure nuove create con questo vincolo. Sospesi quindi “tutto il repertorio classico e gran parte di quello contemporaneo”.
Mimi, figuranti e comparse? Vada la mascherina e altre protezioni nelle prove, ma le opere con grandi masse di comparse e figuranti (prendete l’Attila di Verdi, oppure molti set cinematografici e tv si fa complicata) possono andare in scena con guanti e/o mascherina? L’effetto ridicolo è quasi garantito.
I tecnici, senza i quali lo spettacolo semplicemente non esiste? Per chi lavora nei laboratori e nella sartoria, la distanza è fattibile, varranno regole applicate altrove, in altri settori. Come rileva il documento stesso, è molto difficile invece fare le prove del costume stando lontani ed è impossibile essere distanti durante il “trucco e parrucco”.
Raduni rock e affini. I promoter non fanno capo all’Agis per cui il documento non affronta il tema. A oggi, le grandi folle sono inimmaginabili, per il Coronavirus sarebbero l’invito a un mega-party dagli effetti letali per noi umani. Vedremo.
Giambrone: smettiamo di valutare la cultura sui soldi e gli algoritmi
A coronamento valga riprendere un passo della lettera aperta del sovrintendente del Teatro Massimo di Palermo e presidente dell’Associazione delle Fondazioni lirico-sinfoniche Massimo Giambrone sull’edizione palermitana di Repubblica del 28 aprile:
«Forse finalmente prenderemo coscienza del fatto che quel paradigma esclusivamente economicistico in virtù del quale tutto doveva essere valutato e misurato sulla base di cifre, numeri e algoritmi, andrà seriamente messo in discussione se non addirittura completamente ripensato e rovesciato . Un paradigma che ci stava pericolosamente portando verso la selezione di teatri più forti e più ricchi, cancellando le realtà economicamente più fragili ma fondamentali in una prospettiva di ricchezza, diversità e presidio culturale del territorio. È tempo di dirlo una volta per tutte: nel nostro Paese servono più teatri, più musei, più biblioteche. Grandi e piccoli. Non meno» (clicca qui per il testo integrale, dal sito dell’Agis).
L’appello della lirica: “L’opera rischia di morire, tutele anche per chi ci lavora”