Enzo Verrengia
È stata la prima Bond Girl, o più precisamente Lady, visto il portamento tutt’altro che giovanile, nonostante all’epoca, nel 1962, avesse solamente 34 anni. Eunice Gayson, scomparsa l’8 giugno, a novant’anni, inaugurò la galleria di splendide controparti femminili nella serie cinematografica dedicata all’agente 007. Di più, in quel film d’esordio, Licenza di uccidere, è lei a fornire l’imbeccata per una battuta che diventerà l’imprint del personaggio, del suo stile e del suo appeal. Si è in una sala del Cercle, esclusivo club londinese di gioco d’azzardo. Eunice Gayson è seduta al tavolo del baccarat con un decolletè mozzafiato rosso vermiglio. Di fronte a lei, di spalle, un individuo in smoking. La posta è altissima. Si sente la voce di lui che dice: «Apprezzo il suo coraggio, miss…» «Trench, Sylvia Trench» si presenta lei. E rilancia: «E io apprezzo la sua fortuna, mister…» Controcampo: viene inquadrato quello che prima appariva di spalle, che si presenta accendendo una sigaretta: «Bond, James Bond». In sottofondo parte il ritornello di John Barry che successivamente sarà definito “il tema musicale più violento nella storia del cinema”.
Di certo aiuta Sean Connery a bucare lo schermo. Ma gli occhi degli spettatori hanno ancora il ricordo visivo di Eunice Gayson. Non solo il pubblico maschile. Quello femminile, che è entrato in sala con l’intenzione di bearsi a rimirare l’atletico, un po’ rude e virile scozzese, s’incanta di fronte all’eleganza sensuale e allusiva di Eunice Gayson. Tanto che il regista, Terence Young, con il quale l’attrice aveva una relazione, la fa tornare nel film seguente, A 007 dalla Russia con amore, per un siparietto iniziale che è il refrain di quello precedente. Se in Licenza di uccidere James Bond fa in tempo a “consumare” con miss Trench, prima di partire in missione, lo stesso accade nella seconda avventura, dove il “convegno” avviene in una romantica barchetta al riparo dei salici sulla riva del Tamigi.
Fleming, donne e guai
Dopo i due turni da compagna del guerriero, la Gayson praticamente scompare dal grande schermo e ripiega su quello più piccolo e casalingo della televisione. Ma è già un’icona dell’universo femminile che sarà parte integrante e inestricabile della saga bondiana. È forse l’unico tratto di fedeltà ai romanzi di Ian Fleming, ampiamente stravolti o del tutto ignorati nelle loro trasposizioni in pellicola. Lo scrittore era infatti quello che in inglese si definisce womanizer e nel meridione d’Italia femminaro. La sua insaziabile voglia di donne lo portò finanche all’espulsione dall’accademia militare di Eton, giovanissimo, per un indebito flirt con una cameriera. Ma fu soprattutto tra le nevi incantevoli di Kitzbuhel, in Austria, che Fleming diede il meglio di sé come tombeur de femmes. Fino a cacciarsi in un guaio piuttosto serio. Nel 1951 mise incinta Ann Geraldine, viscontessa di Rothermere e moglie dell’editore stesso di Ian. Ne seguì un disastroso divorzio per la donna e un matrimonio riparatore per lui, dal quale nacque il figlio Caspar, morto suicida per droga nel 1975. Non certo il retaggio ideale per la galleria di amori che poi Fleming avrebbe ricostruito a misura di James Bond. Quest’ultimo, nei romanzi, è monogamo fino al termine di ogni vicenda. Per poi ricominciare nella prossima. Nella sua versione in celluloide, al contrario, “consuma” più di una partner per volta.
Le altre Girls
Le attrici che hanno avuto questo privilegio, però, non sempre ne hanno goduti i frutti sul piano della carriera. La parabola fulminea della Gayson, infatti, si è ripetuta per altre di loro. Ad esempio Martine Beswick, che interpretò una zingara affascinante in Dalla Russia con amore e poi l’agente di scorta a Bond in Operazione Tuono, per scomparire. Poche tracce anche della bellissima Maryam D’Abo, che accompagnò il rilancio di 007 nel passaggio all’attore Timothy Dalton, chiamato sul set di Zona pericolo. In seguito non avrà più occasioni di altrettanta visibilità. Lo stesso per la polacca Izabella Scorupco, che affiancò il Bond di Pierce Brosnan in Goldeneye.
Altre Bond Girls ebbero più fortuna, anzi tanta, tantissima. Valga per tutte Ursula Andress, che sempre in Licenza di uccidere seguì la Gayson negli interessi ormonali di James Bond. Lei era la stupenda ragazza selvaggia che raccoglieva conchiglie rare sulla spiaggia dell’isola dove il Dottor No aveva instaurato la sua sinistra base segreta. La scena in cui emerge dal mare in due pezzi fu citata in La morte può attendere, dove quelle movenze di un ardore quasi intollerabile vennero replicate da Halle Berry nelle acque di Cuba.
L’italiana Daniela Bianchi era Tatiana Romanova in Dalla Russia con amore. Il suo nome e la sua silhouette vennero inscindibilmente legate alla cinematografia spionistica e fu chiamata a ricoprire ruoli analoghi in imitazioni a basso costo dei film di Bond, coprodotte da italiani, francesi, tedeschi e spagnoli, e girate spesso a Beirut, quando il Libano era la Svizzera del Mediterraneo, nella villa di Felice Riva, l’industriale del cotonificio Vallesusa, fuggito laggiù dopo il crac.
E poi ci sono le altre. Honor Blackman in Goldfinger, Claudine Augier e Luciana Paluzzi in Operazione Tuono, Framke Janssen in Goldeneye, Rosamund Pike in La morte può attendere, Carole Bouquet in Solo per i tuoi occhi, Maud Adams in L’uomo dalla pistola d’oro e Octopussy. Una menzione a parte per Diana Rigg, la Tracy Di Vicenzo di Al Servizio Segreto di Sua Maestà, dove il Bond interpretato da George Lazenby la sposa… per poi vedersela uccidere dall’arcinemico Blofeld, capo della Spectre. La Rigg era già famosissima nella guaina traslucida di Emma Peel nel serie televisiva agente speciale, in cui era stata preceduta dall’altra Bond Girl Honor Blackman. Così per Monica Bellucci in Spectre. Con lei la Bond Girl diviene Bond Lady. Com’era stata a tuo tempo Eunice Gayson, perché nel 1962, all’uscita di Licenza di uccidere, 34 anni non era un’età da ragazzina. Era un presagio. Il maschilismo perennemente tardoadolescenziale di 007 aveva bisogno della maturità di una compagna capace di risvegliare in lui l’uomo oltre il semplice macho.
Le 007 non sono da meno
L’epopea di James Bond coincide sul piano del costume e della cultura con l’ascesa del femminismo. Perciò spuntarono delle concorrenti che non facevano da contorno ai maschietti con la pistola, ma erano direttamente protagoniste. La più importante è Modesty Blaise, la bellissima che uccide, creata da Peter O’Donnell, portata al cinema da Monica Vitti. Poi l’intramontabile Barbarella, di Jean-Claude Forest, che le sue avventure d’azione le vive nello spazio del futuro e sullo schermo esordisce con un memorabile striptease a gravità zero di Jane Fonda.
Negli anni ’70, il fenomeno delle superdonne s’incrocia con la Blaxploitation, il ciclo di film d’impronta afroamericana. Qui primeggia una fulgida Tamara Dobson in Cleopatra Jones: licenza di uccidere, diretto nel 1973 da Jack Starrett. Addio 007.