La tendenza manicheista del pubblico americano ad amare o condannara è nota, e certamente sfruttata dalla cinematografia statunitense, che si diletta a creare superuomini con la cinepresa, protagonisti di saghe epiche, e orribili mostri da usare come capri espiatori. Ma qui si parla di una donna che non ha avuto una vita facile, e che come tutti gli esseri umani, ha commesso errori in parte riconducibili alla società stessa che la circondava.
Il film I, Tonya di Craig Gillespie, accolto con molti applausi alla Festa di Roma potrebbe avere per sottotitolo ‘una storia americana’. Nella vicenda della Harding, che fu la prima atleta americana ad eseguire il famoso difficilissimo triplo salto axel, c’è tutta la cultura americana, i suoi stereotipi che come spesso capita sono anche delle verità sociali. Margot Robbie, che lo ha anche prodotto, si è trasformata in Tonya, la ragazzona di Portland, Oregon, classe 1970, che non ha mai conosciuto abbracci materni, è venuta su a botte, ma dentro ha talento innato, una carica immensa, trasgressiva nel mondo delle principesse del pattinaggio.
Scritto da Steven Rogers, ricostruisce la favola nera della Harding nel pieno degli anni ’90 (colonna sonora cult) il suo up ai campionati nazionali statunitensi, il suo down drammatico, la sua immensa popolarità. Poco prima che scoppiasse il caso O.J.Simpson la vicenda fu un caso eclatante e sconvolgente: la promessa del pattinaggio Nancy Kerringan, amica ma soprattutto rivale della Harding, fu colpita al ginocchio da uno sconosciuto e dovette ritirarsi. L’indagine dell’Fbi ricondusse al marito di Tonya e a lei stessa la colpa di aver pagato un killer per aggredire e mettere fuori gioco Nancy.
Le cose andarono davvero così? Al termine del processo, Tonya fu condannata praticamente a morte, ossia espulsa dalle associazioni di pattinaggio, le fu vietato di pattinare ancora, di gareggiare, oltre a prigione e risarcimenti. Il film invece inquadra quello scandalo sportivo nel suo contesto sociale e I, Tonya, oltre che essere la ‘sua’ versione dei fatti, ha anche il sapore della riabilitazione oltre 20 anni dopo.
Al di là della vicenda sportiva, il film biografico e drammatico emoziona con il ritratto di questa ragazza di provincia, sui pattini a 3 anni, povera che si cuce i vestiti da sola e ha voglia di arrivare in un mondo classista che rifiuta la sua immagine chiassosa, la sua provenienza da una famiglia disgregata.
Tonya succube della madre mostro, del marito Jeff Gillooly che dice di amarla ma la picchia duramente, Tonya che vuole solo pattinare e far vedere quanto è brava, Tonya che è se stessa solo quando piroetta incredibilmente sul ghiaccio cercando l’approvazione di tutti mentre intorno sembra avere un mondo contro: la madre, il marito, i giudici che non le danno mai il punteggio che merita perché lei si ostina ad essere punk nel mondo delle perfettine impellicciate.
L’interpretazione della Robbie non si dimentica e bravo è il resto del cast a cominciare dalla perfida madre padrona LaVona (Allison Janney), il marito Jeff (Sebastian Stan) , l’allenatrice Diane (Julianne Nicholson). Il film (prodotto dalla Miramax) ha vinto al festival di Toronto il First Running Up, esce in sala in America l’8 dicembre in tempo per essere incluso nella stagione dei premi, cosa altamente probabile e si vedrà in Italia distribuito da Lucky Red nel 2018.
Al termine della storia i volti veri dei protagonisti in spezzoni d’epoca mentre i titoli di coda avvisano che Tonya oggi ha 46 anni, disegna giardini e si è risposata felicemente e tiene a dire a tutti di essere una buona madre.