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Virzì: Cannes calamita l’ego di ogni regista

L'intervista completa di Marco Spagnoli al regista italiano: tra La pazza gioia, Cannes e il futuro del cinema

Virzì: Cannes calamita l’ego di ogni regista
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10 Maggio 2016 - 16.26


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di Marco Spagnoli

“Avevo in mente un racconto con protagoniste due pazienti psichiatriche dai caratteri opposti che si ritrovano, un po’ per caso, a scappar via dalla struttura clinica che le ospita. Una fuga dalle regole, dalle misure di sicurezza, dalle costrizioni della cura che
diventa un girovagare sconclusionato ed euforico nel mondo fuori.” Paolo Virzì racconta così l’ispirazione per La pazza gioia film selezionato dalla Quinzaine des Realisateurs del Festival di Cannes, prodotto da Lotus per Leone Film Group insieme a Manny e Raicinema, distribuito da 01. Un titolo molto atteso in cui Paolo Virzì torna a dirigere la sua compagna e “musa” Micaela Ramazzotti e Valeria Bruni Tedeschi dopo il grande successo de Il Capitale Umano. “Diciamo che finora la questione psicopatologica l’avevo sotterrata sotto ogni mio film.” Continua Virzì “Dal momento che ho sempre cercato di raccontare la disperazione, la solitudine in forma di commedia, quindi mettendo in scena personaggi mitomani, ossessivi, depressi, smaniosi, stavolta la patologia mentale abbiamo provato proprio a prenderla di petto. Siamo partiti da due persone sancite dalle istituzioni come pericolose, e sottoposte a misure di sicurezza in una comunità di recupero. E ho scoperto così di poter trattare la
questione che mi sta da sempre a cuore – ovvero i casi umani come casi clinici – persino accentuando le tonalità della commedia, in una specie di euforia da film d’avventura.

Il suo cinema negli ultimi anni ha conquistato un respiro sempre più internazionale: il passaggio a Cannes è un ulteriore segnale in direzione di questo percorso?

La lettera estremamente calorosa ricevuta verso la fine di gennaio da Edouard Waintrop, che guida il comitato di selezione della Quinzaine, con la quale ci veniva chiesto con un entusiasmo toccante di poter avere la première de La Pazza Gioia (gli avevano fatto vedere il film quasi a nostra insaputa i distributori francesi di BAC Film) ,
ci ha colto di sorpresa e ha mandato all’aria i nostri piani d’uscita. Trailer e manifesti con la data del 3 marzo erano già pronti, avevamo programmato il tour di promozione, la squadra di 01Distribution era molto orgogliosa delle numerose ed importanti sale che era riuscita ad assicurarsi. Ma abbiamo deciso di accettare e quindi di posticipare a maggio l’uscita, creando forse qualche grattacapo a qualcuno. Per tante ragioni, alcune ragionevoli, che appunto riguardano alcune considerazioni sul pubblico del nostro cinema che sta allargando i propri confini, ma senz’altro anche per un pizzico di sciocca vanità. Cannes è quella roba che calamita l’ego di ogni regista. Ed è per me un particolare piacere questa collocazione nella sezione più innovativa e meno pomposa del Festival, in compagnia col giovane e gagliardo Giovannesi che qualche
anno fa mi capitò di selezionare come allievo di regia al Centro Sperimentale. Mi piace molto anche che ad aprire la Quinzaine sia il film di un monumento al cinema d’autore italiano come Marco Bellocchio col mio amico Mastandrea protagonista. Valerio sarà il vero prezzemolino della Quinzaine, mi dispiace che proprio io che con lui ho fatto tre film non abbia pensato a chiamarlo neanche per una posa, una battuta, un passaggio in profondità.

Una storia di due donne è una scelta abbastanza insolita in un cinema italiano, spesso, misogino. Eppure negli ultimi qualcosa sta cambiando in maniera molto significativa con film come il tuo ma anche come Veloce come il Vento dove un’altra donna è protagonista. Cosa l’affascinava del dirigere questa coppia?

questione la ponga a me. E’ il mio dodicesimo film, mi pare. Ebbene almeno la metà, sin dal mio primo film, hanno una protagonista femminile. Non ti saprei neanche spiegare perché. Di certo, per quanto mi riguarda non è per seguire chissà quale trend, ammesso che ci sia. Mi interessano i personaggi femminili, mi piace raccontare dal punto di vista delle donne: anche da lettore e da spettatore è così, mi piacciono molto i film di Woody Allen che hanno come protagonista una donna, come il recente strepitoso “Blue Jasmine” e nel cinema italiano degli anni Sessanta uno dei miei cult è “Io la conoscevo bene”, lo preferisco a capolavori come “Divorzio all’italiana” e a “Il Sorpasso”. Perché? Non lo so, è questo il bello. La forza segreta di certi personaggi femminili è proprio la loro insondabilità, il loro mistero. Valeria e Micaela sono in
buona parte la sostanza ispirativa di questo racconto sulla fuga dalle istituzioni psichiatriche, non perché siano pazze, o forse un po’ sì. Perché sono due attrici molto diverse, ma entrambi estremamente anticonvenzionali e insieme mi sembra che producano una sostanza chimica misteriosa e straordinaria.

Il cinema italiano sembra avere riscoperto l’importanza e, soprattutto, la necessità delle buone sceneggiature: qualcosa che a te è sempre stato molto a cuore.
Quali sono i cambiamenti che credi dovrebbero arrivare per portare il nostro cinema ad avere un successo anche di natura commerciale all’estero?

Non chiedetelo a me, che di mestiere faccio i film. Quando uno che scrive e dirige si pone il problema di avere successo all’estero è da guardare con sospetto, o da ricoverare. Sono produttori, distributori, venditori, è insomma il sistema industriale nel suo insieme che deve porsi queste domande. Per decenni le major principali che hanno realizzato i film italiani, dal gruppo di Cecchi Gori fino a Medusa, si è sempre
disinteressato di commercializzare i propri film fuori dall’Italia. Perché? Boh, chiedetelo a loro, anche per me è inspiegabile. Non è che non ci siano riusciti: non ci hanno proprio provato. Sta cambiando qualcosa? Forse sì. Sta succedendo che qualche produttore più scaltro e accorto ha affidato a società francesi o comunque non italiane la vendita nei territori del mondo, e il trend è cambiato. Forse saranno cambiati anche i film, ma non è che semplicemente nessuno prima aveva mai provato a farli circolare? In fondo – a parte qualche eccezione – neanche nelle gloriose
stagioni dorate che non ci stanchiamo di celebrare come ineguagliabili?

Quale impressione hai del mercato italiano? Quali sono le criticità
maggiori?

Mi par di capire che ci sia un grave problema che riguarda i diritti dei film, che si
riflette negativamente nella nostra industria cinematografica e televisiva.
Chi realizza, chi scrive, chi pensa, chi dirige e – specie nella tv – anche
chi produce – viene privato totalmente dai committenti, in genere
network televisivi, della proprietà dei film. Il sistema ne risente in
termini di innovazione, rischio, sfida, creatività.

Come valuti le trasformazioni del mercato degli ultimi anni? La Tv ti
affascina? Una serie ispirata da uno dei tuoi film o da altri soggetti ti
interesserebbe?

Certo che mi affascinano le nuove serie tv. Anzi ti dirò, le trovo
pericolose come la droga. Una volta ho passato tutto il fine-settimana col
mio laptop sulle ginocchia ipnotizzato da non mi ricordo quante stagioni
di una serie su Netflix. Mia moglie e i miei figli mi guardavano come se
fossi impazzito. Penso che sì, sicuramente, prima o poi, un racconto a
lunghissima gittata, tipo romanzo infinito, è una cosa che mi interesserà
immaginare, scrivere e realizzare.

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