Lettera aperta al Presidente del Consiglio sul caso Pasolini

L'autore e regista de La Macchinazione ha scritto una lettera aperta a Matteo Renzi, per chiedere di ripristinare la verità storica sulla morte di Pasolini.

Lettera aperta al Presidente del Consiglio sul caso Pasolini
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16 Marzo 2016 - 13.25


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di David Grieco*

Caro Presidente del Consiglio,

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le scrivo per perorare la causa di un amico. Un amico caro che non c’è più. Parlo di un uomo che aveva l’età di mio padre e che è riuscito a trasmettermi, al pari di mio padre, alcuni valori importanti da portare con me per tutta la vita: l’onestà, l’amore per il prossimo e soprattutto il coraggio delle proprie idee.

Questo mio amico è morto più di quarant’anni fa in modo del tutto inaspettato, molto violento e piuttosto misterioso.

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Lui era un omosessuale, ma non ne faceva mistero. Pare che una sera il mio amico avrebbe rimorchiato un prostituto minorenne alla Stazione Termini di Roma, lo avrebbe portato a cena in un ristorante e si sarebbe poi spinto lontano, fino ad Ostia, per consumare un rapporto sessuale con lui.

Il ragazzo però non avrebbe gradito e si sarebbe rifiutato. Il mio amico, pur essendo l’uomo più mite che io abbia mai conosciuto, sarebbe andato su tutte le furie, e armato di un bastone avrebbe cercato di sodomizzare il ragazzo.

Non so proprio cosa abbia spinto il mio amico a comportarsi in quel modo, ma fortunatamente il ragazzo ha reagito. Pur essendo giovane e gracile, gliele ha date di santa ragione.

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Dire che il ragazzo ha picchiato il mio amico purtroppo non rende l’idea. Lo ha ridotto a una poltiglia di carne e sangue. Ho le foto e potrei mostrargliele, ma è meglio di no. Le garantisco che si fa fatica a guardarle.

Il ragazzo è poi scappato. L’unico mezzo per fuggire da quel posto era l’auto del mio amico. Il ragazzo si è messo al volante, ha acceso il motore ed è partito. Purtroppo, però, è passato inavvertitamente con l’auto sul corpo del mio amico e gli ha dato il colpo di grazia. Non so come abbia fatto, ma questo ragazzo sul corpo del mio amico ci è passato addirittura più volte. Una cosa inspiegabile, perché lui per scappare sarebbe dovuto andare nella direzione opposta.

Ma in fondo il ragazzo aveva solo diciassette anni, non aveva ancora la patente, non sapeva guidare. Le disgrazie purtroppo non vengono mai sole.

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Negli ultimi 40 anni, ho ripensato spesso alla morte del mio amico. Non sono riuscito a farne a meno perché il mio amico aveva a sua volta milioni di amici, e c’è sempre qualcuno che ne parla o ne scrive. Non solo in Italia. Anche all’estero, spesso all’estero. Perché il mio amico era conosciuto in tutto il mondo e la sua brutta fine è rimasta impressa a tanta gente.

Non da 40 anni ma da molti anni, ho avuto modo di scoprire che il mio amico è morto in modo assai diverso da come ci è stato raccontato.

Quel ragazzo, il mio amico non lo aveva incontrato per la prima volta quella sera ma lo conosceva da tempo. Non erano andati fino ad Ostia per appartarsi ma per recuperare qualcosa che al mio amico avevano rubato. A massacrare di botte il mio amico non era stato il ragazzo ma più persone, un vero e proprio branco di picchiatori. L’auto che era passata più volte sul corpo del mio amico non era la sua auto, bensì un’altra auto quasi identica. E non la guidava il ragazzo.

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Il ragazzo era soltanto un’esca per attirare il mio amico in una trappola ordita per ucciderlo. La scelta di usare l’auto come arma del delitto, a pensarci bene, era l’unica possibile per far ricadere la colpa sul ragazzo dotandolo, nel contempo, di tutte le attenuanti del caso: era stato aggredito dal mio amico omosessuale, era minorenne, non sapeva guidare…

Non mi dilungo. Volevo dirle che la morte di questo mio amico è stata una goffa ma colossale messinscena. Non lo dico soltanto io. Lo dicono in molti, sempre più numerosi. Del resto, i retroscena di questa messinscena sono ormai di dominio pubblico. Ora c’è Internet. Basta andarli a cercare.

Ciò che fa ancora male, ma parecchio male, è che la Giustizia e la Storia in Italia hanno adottato per sempre la versione inverosimile e falsa della morte del mio amico. Dopo tre gradi di giudizio, questa colossale menzogna rimarrà scolpita nella pietra. E noi saremo costretti, temo, a provarne vergogna in eterno.

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Da cittadino italiano, prima ancora che da amico, questa abietta mistificazione storica la trovo inaccettabile. E ritengo che lei dovrebbe essere del mio stesso avviso. Mi dica se sbaglio. Ho molto apprezzato giorni fa il suo tono fermo nel pretendere la verità dalle autorità egiziane sulla morte di Giulio Regeni, il giovane italiano sequestrato, torturato, ammazzato e abbandonato in mezzo alla strada mezzo nudo per lasciare intendere che era un omosessuale in cerca di emozioni forti. Stessa storia, stesse modalità, stesso trucco.

Quando il mio amico venne assassinato, lei caro Presidente prendeva ancora il biberon e non pochi di coloro che oggi siedono in Parlamento non erano ancora nati. Chi meglio di voi può finalmente adoperarsi, dopo 40 anni, per ripristinare la verità storica sulla morte del mio amico?

Dopo tre gradi di giudizio, l’unica strada, come lei sa, è la costituzione di una commissione parlamentare. Molti deputati si stanno già attivando. Se lei, dall’alto del suo scranno, volesse appoggiare questa iniziativa sarebbe una bella cosa, e sarebbe importante.

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Avrà sicuramente notato, Presidente, che non ho mai menzionato il nome del mio amico. L’ho fatto di proposito perché lui non avrebbe mai voluto un trattamento di favore. Lui pensava e diceva che la sua vita non valeva né più né meno della vita di chiunque altro. Questa è una delle tante cose che il mio amico mi ha insegnato e che io, per fortuna, non ho mai dimenticato.

Un caro saluto


*autore del libro e del film “La Macchinazione”

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