Jeeg Robot, gli sconosciuti e il nuovo cinema italiano

Una nuova generazione di registi, attori, produttori e sceneggiatori sta per trasformare il cinema e l'audiovisivo italiano.

Jeeg Robot, gli sconosciuti e il nuovo cinema italiano
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6 Febbraio 2016 - 08.01


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Jeeg Robot, gli sconosciuti e il Nuovo Cinema Italiano
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di Marco Spagnoli

@marco_spagnoli

Qualcosa sta cambiando nel cinema italiano e più in generale, nell’approccio alla produzione audiovisiva del nostro paese. A dispetto delle lamentele da salotto, delle vili critiche sotto pseudonimo e di un sistema produttivo che ha molto da fare (e cambiare) per arrivare agli standard europei (ma la legge, fortunatamnte, c’è già) i segnali di cambiamento sono evidenti e tangibili.

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Dopo la “sbornia Zalone” con il suo film popolare, intelligente, dissacratore e piacevolmente politicamente scorretto, ecco arrivare proposte differenti, per molti versi innovative al fianco di una serie di conferme interessanti.

Merito di nuovi autori, registi, sceneggiatori, attori coraggiosi e capaci di metterci la faccia come lo straordinario Claudio Santamaria di Lo chiamavano Jeeg Robot, pronti a fare la loro parte in un rinnovamento spesso invocato e mai davvero favorito e benvenuto.

Eppure proprio un titolo come Lo chiamavano Jeeg Robot sta per arrivare nelle sale con tutto il suo carico di potenza narrativa e capacità di mostrare sullo schermo un supereroe italico, che allaccia saldamente il nostro cinema ad un immaginario collettivo internazionale dalla matrice tanto pop quanto dinamica.

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Un film sulla carta tutt’altro che facile, ma che, oggi, è la prova di come si possano cambiare le cose, facendo la differenza in maniera intelligente e, soprattutto, concreta.

Merito del suo regista, nonché produttore, un grande nuovo talento, Gabriele Mainetti e degli sceneggiatori Menotti e Nicola Guaglianone, quest’ultimo il “Charlie Kaufmann italiano” che ha firmato la sceneggiatura del film rivelazione della seconda parte dell’anno, quell’Indivisibili che potrebbe affermare Edoardo De Angelis (Mozzarella Stories, Perez) come il nuovo grande autore della nostra produzione, sulle tracce dei Sorrentino, Garrone, Munzi, Vicari & Co.

Nelle sale, però, c’è in questi giorni anche Perfetti Sconosciuti, miglior film di Paolo Genovese, che porta il suo gusto per la commedia in una dimensione rarefatta, che in una notte come quelle lette nei libri di Haruki Murakami, mette alcune coppie qualunque alle prese con la propria umanità fragile e con i loro segreti.

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Un grande cast di attori come Marco Giallini, Valerio Mastandrea, Beppe Battiston, Edoardo Leo, Alba Rohrwacher (giurata al Festival di Berlino), Anna Foglietta e Kasia Smutniak per una produzione come quella di Marco Belardi che dimostra come si possa fare un cinema commerciale, ma anche di una certa qualità in grado di raccontare storie e non solo di fare ridere grazie a situazioni o gag abusate.

La lista dei nomi, dei titoli e dei meriti, ovviamente, è molto più lunga di questo o di quella presente in qualsiasi altro articolo in circolazione, ma sembra evidente che il conservatorismo del nostro cinema, abbia preso atto della necessità e non solo dell’importanza della diversificazione dei generi e delle storie. Sono molti, infatti, i registi al lavoro di cui questo giornale ha già potuto vedere i film finiti o in postproduzione, per non parlare, poi delle tante serie in scrittura o postproduzione, a partire da una serie di progetti in grado di essere dei game changer come il Suburra di Netflix curato dal grsnde scrittore Daniele Cesarano (Ris, Romanzo Criminale, Acab) al lavoro anche con un grande team di sceneggiatori sull’importantissimo progetto I diavoli tratto dal bestseller di Guido Maria Brera.

Nuove idee e nuovi talenti sono alla base del lavoro di progetti innovativi, ma non mancano le sorprese anche in un senso più classico. Inspiegabimente (o forse no) trascurato dai Festival italiani, arriva a fine marzo sullo schermo La macchinazione in cui David Grieco fa i nomi e i cognoni degli assassini di Pasolini, in un film ‘definitivo’ sulla morte del grande poeta, che viene ritratto in maniera tutt’altro che agiografica da un Massimo Ranieri, letteralmente sublimato nella figura del regista ucciso quaranta anni fa.

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Un’altra prova di un cinema differente che, addirittura, propone come colonna sonora Atom Heart Mother dei Pink Floyd.

Che dire poi dell’altra sorpresa Veloce come il vento di Matteo Rovere? Una sorta di Fast & Furious italiano con la migliore interpretazione di Stefano Accorsi degli ultimi dieci anni, il talento di un’attrice tosta come Matilda De Angelis e, soprattutto, la voglia di fare un film su auto e motori come solo l’Italia poteva e doveva fare?

La lista, però, è ancora molto lunga: Un Bacio, nuovo film di Ivan Cotroneo; il film di Francesco Bruni con protagonista la leggenda Giuliano Montaldo tornato a recitare oltre mezzo secolo dopo la scelta di rimanere dietro la macchina da presa e basta; La pazza gioia, a detta di molti, il miglior film di Paolo Virzì verosilmente in direzione della Croisette come le nuove regie di Kim Rossi Stuart e Roberto Andò.

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Sono quindi tanti i segnali di cambiamento per una produzione creativa che nonostante le difficoltà produttive di un sistema ancora bloccato, è pronta a dare segnali importanti di cambiamento e rinnovamento.

Le tracce e le suggestioni sono molte. L’importante è capire se tutto questo talento e queste nuove (buone) idee saranno messe a sistema oppure la divisione e l’incapacità endemica del nostro paese di fare gioco di squadra senza finire nelle divisioni ideologiche stile Coppi – Bartali avranno la meglio.

Il ricambio generazionale fa, però, ben sperare.

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