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Rising Star: Monica Belardinelli

Prosegue l’incontro con i nuovi volti dello spettacolo italiano. Questa settimana la gallery di Rising Star è dedicata a Monica Belardinelli.

Rising Star: Monica Belardinelli
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21 Gennaio 2016 - 10.18


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di Nicole Jallin

Per lei, Monica, trentenne marchigiana, da anni ormai naturalizzata capitolina, la recitazione è una passione che si fa sentire molto, molto presto, ovvero tra i banchi di scuola (elementare), quasi fosse una tendenza intrinseca cui non si poteva restare indifferenti. E infatti, da subito, con un’alimentazione a base di corsi, seminari e laboratori, Monica, diplomata alla Silvio d’Amico (attualmente impegnata nella direzione di laboratori teatrali per le scuole con l’Associazione Alt Academy, e nell’organizzazione dell’Estate Romana FontanoneEstate), si forma e si perfeziona come attrice, si misura con drammaturgie straniere, allena il fisico in tecniche mimiche, la voce nel doppiaggio, e la testa nella conoscenza delle dinamiche produttive, distributive e contrattuali del mercato teatrale: «A sei anni frequentavo una scuola di recitazione per bambini, dove studiavo anche canto, danza e scenografia. Ho cominciato allora e non ho più smesso. Era quello che volevo fare da grande: l’attrice. Studiavo, studiavo, studiavo sempre. Poi, insieme a una compagnia amatoriale, ho imparato cosa significa andare in tournée, compreso il caricare/scaricare il furgone, preparare i costumi e montare le scenografie; sono arrivati i primi spettacoli, poi il trasferimento a Roma, e l’Accademia».

E sono anche arrivati gli incontri con, tra gli altri, Claudia Contin e Ferruccio Merisi, Alessandra Niccolini, Laura Marinoni, fino a Jordan Bayne e Luca Ronconi: «Il lavoro con Jordan Bayne mi ha segnato particolarmente. Ha cambiato nel profondo il mio modo di approcciarmi al personaggio, al testo, alla recitazione in generale. Ed è successo in un periodo particolare della mia vita e della mia formazione. L’allenamento con lei è stato fondamentale per fratturare quel rigido schematismo interpretativo che lo studio accademico aveva imposto. È stata la mia salvezza. L’incontro con Ronconi invece si è rivelata una grande occasione che purtroppo non ho colto appieno. Era un maestro straordinario, una personalità così imponente e capace di mettere una tale soggezione che l’ansia di lavorare con lui mi ha bloccato: nei pochi giorni di studio insieme non sono riuscita a esprimermi al meglio. E non sono riuscita a sfruttare quel tempo per conoscerlo come persona, scavalcando quell’apparente mancanza di umanità che trasmetteva. Questo è il mio rimpianto».

C’è un magnetismo mistico in Monica. C’è un richiamo diretto allo spettatore, sottile e ipnotico, che rapisce per intero chi osserva e lo porta dentro quel pezzo di vita che si svolge sul palco. Il pubblico romano l’ha potuto recentemente apprezzare al Teatro Belli in “Tender Napalm” del britannico Philip Ridley, diretto da Carlo Emilio Lerici (spettacolo di chiusura della storica rassegna curata da Rodolfo di Giammarco “TREND nuove frontiere della scena britannica”), ultima fatica di una pluriennale carriera – e amore – teatrale nel quale ha dato corpo alle drammaturgie di Massimo Beato, come “La casa delle tre bambole”, “I volti di Me.Dea”, “Quando l’illusione è più urgente del vero”, più “Servo e Padrone” diretto da Jacopo Bezzi, e “Donne di mafia”, diretto da Cristina Fayadin per Rai Educational; all’opera di Else Lasker-Schülere in “IoeIo”, regia di Cesare Lievi; a quella di Rainer Werner Fassbinder in “Un anno con tredici lune” e di Alessandro Baricco in “Oceano Mare”, entrambe regie di Enzo Aronica.

Ci sono poi le testualità intramontabili come “La trilogia di Ircana” di Goldoni, per regia di Lorenzo Salveti, e “Le intellettuali” di Moliére, diretto da Adriana Martino; ci sono importanti autorialità contemporanee come Ciro Scalera, per cui si presta ne “L’isola madre” da lui scritto e diretto; Elena Arvigo, che la guida nel suo “Etty La Resistenza dell’Amore”; e c’è l’intesa con Carlo Emilio Lerici che si rivela nelle sempre ispirate messinscena di – oltre al già citato “Tender Napalm” – “La versione di Barney” di Massimo Vincenzi; “Assassine. Quattro storie di sangue”, del plurale drammaturgico Bassetti-Vincenzi-Manfridi-Vianello-Longoni; “Casalinghe social club” di Rosa A. Menduni e Roberto De Giorgi, e “Dark Vanilla Jungle”, sempre a firma di Philip Ridley (che replicherà in primavera al Teatro dell’Orologio di Roma), ovvero «un piccolo miracolo – come lo descrive Monica – nato da una complicità e una sinergia comune speciale, e un lavoro di squadra pazzesco: un bellissimo esempio della magia del fare teatro».

Intanto, oltre ad essere autrice e conduttrice di speciali dedicati alla scena in “Dietro le quinte”, e interprete de “La Malattia della famiglia M” di Fausto Paravidino con regia di Sandro Vanadia, sullo schermo si affaccia con il corto di Edoardo Ferraro “Né leggere né scrivere”, e con la pellicola vincitrice del Nastro D’Argento 2015 “Sonderkommando” di Nicola Ragone: «Il cinema è un grande obiettivo: recitare davanti alla macchina da presa è molto difficile, e questo mi affascina. Sì, è una sfida che vorrei affrontare presto. Ma senza sacrificare il teatro. Non voglio rinunciare al teatro, e non lo vorrò mai».

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