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Potenza: ci hanno chiuso la nostra finestra sul mondo

Che cosa resta a Potenza dei tre cinema nel centro città? Le sale stanno chiudendo una ad una così come le nostre finestre sul mondo. [Renato Cantore]

Potenza: ci hanno chiuso la nostra finestra sul mondo
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23 Dicembre 2015 - 09.52


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di Renato Cantore

La mia prima volta al cinema avevo appena compiuto cinque anni. La sala era un luogo un tempo nobile avviato a un’ineluttabile stagione di decadenza: quella platea del teatro Stabile che aveva conosciuto i fasti dell’inaugurazione reale, e poi le tournée delle grandi compagnie di rivista, e che ora era ridotta a una fila di scomode panche di legno dalle quali guardare il film con un occhio sempre attento ai pericoli che potevano venire dal loggione, altrimenti detto “piccionaia”, notoriamente non frequentato da colti e appassionati cinefili.

E tuttavia i gestori di quel luogo un po’ decadente non si rassegnavano a un destino da cinema di periferia. Allo Stabile, sia pure con qualche decoro consumato e molte lampadine fulminate, doveva andare in scena sempre il meglio. E il meglio doveva certamente essere il film che mi portò a vedere mia madre: “Guerra e pace”, tratto dal capolavoro di Lev Tolstoj. Un cast stellare, con Audrey Hepburn, Anita Ekberg, Vittorio Gassman, Henry Fonda. Centosessantaquattro minuti, due ore e tre quarti di noia mortale, senza neppure la possibilità di un fantozziano urlo liberatorio. Erano altri tempi, ed io un bambino tranquillo e ubbidiente che la mamma maestra aveva deciso di portare al cinema perché prendesse confidenza con la grande storia.

Al confronto, la storia di Marcellino pane e vino, che il giovane parroco padre Vitale ci avrebbe propinato decine di volte, dopo la messa domenicale per i ragazzi, nella piccola sala del cinema San Michele, mi sarebbe sembrata quasi una vicenda allegra, nonostante la prematura scomparsa di quel povero trovatello che un gruppo di tristissimi frati aveva allevato a pane e sacrifici.

Nonostante questa iniziazione non proprio all’insegna dell’ottimismo e dell’allegria, il cinema sarebbe diventato per noi ragazzi di provincia, fino all’età della maturità, la vera finestra aperta sul mondo. Una finestra dalla quale ci affacciavamo con curiosità e stupore, in attesa di confrontarci di persona, all’età giusta, con quel mondo metropolitano che ci faceva sognare da quel telone bianco.

E la città, la piccola città di provincia, era da questo punto di vista una città generosa. Nel centro storico si era andato consolidando, forse aldilà delle intenzioni dei gestori, un vero e proprio “multisala” diffuso, una concentrazione di locali e di offerte profondamente integrati nella città, al punto che l’andare al cinema diventava una scelta perfettamente compatibile con tutti gli altri possibili modi di vivere la comunità: lo struscio per via Pretoria, le chiacchiere con gli amici, i primi approcci con le ragazze, l’aperitivo al bar.

In poche centinaia di metri tre sale di prima visione: il cinema Fiamma proprio in piazza, l’Ariston appena dietro l’angolo del palazzo del Governo, e qualche centinaio di metri più avanti, all’inizio di quella extramurale tutta palazzoni e cemento proprio alle spalle della Cattedrale, il Due Torri, la sala più grande e moderna, anche con un piccolo palcoscenico che, all’occorrenza, la faceva diventare teatro.

Il cinema dunque nel cuore della città, autentica infrastruttura culturale per una comunità che, tra l’ascesa politica di Emilio Colombo e i trionfi calcistici del Potenza miracolo, provava a proporsi all’attenzione nazionale.

Nel multisala di via Pretoria era una sfida continua nel proporre i film migliori e più famosi. Non c’era pellicola inserita nei grandi circuiti nazionali che non fosse proposta il primo giorno di uscita anche in una delle sale della città. E quando arrivava un “colossal” i gestori si accordavano per proporlo in contemporanea, considerata la grande richiesta del pubblico. Era l’assalto ai botteghini e ai pochi posti disponibili in sale superaffollate e nelle quali la visione del film era sempre accompagnata dal ronzio della macchina per la proiezione e dalla nuvola compatta che si alzava da centinaia di sigarette.

Da ragazzini, specie quando si aveva la fortuna di avere un amico con la “tessera” (ricordate le centinaia di famiglie che, non si è mai capito bene perché, avevano tessere permanenti per l’ingresso gratuito al cinema?) capitava di cominciare il nostro privatissimo cineforum alle tre del pomeriggio, quando le sale aprivano. Poi si restava ad “approfondire” la visione fino a tardi o, meglio, ci si spostava in un altro cinema per il secondo spettacolo. E quando l’offerta si fosse esaurita, si poteva sempre contare sulle due sale parrocchiali: il già citato San Michele e il cinema Gloria nei pressi del Vescovado. Proponevano in genere pellicole un po’ datate, ma di facile visione: film comici con Totò e Peppino, cartoni, documentari, storie di buoni sentimenti per famiglie morigerate e timorose di Dio.

Chi volesse avventurarsi in territori cinematografici ancora inesplorati e avesse il gusto dell’avventura urbana trovava un approdo sicuro sul viale dell’allora lontanissima Stazione Inferiore. Qui il cinema Eden proponeva pellicole non di elevatissimo valore artistico, ma di sicuro interesse per adolescenti alla ricerca di curiosità ed emozioni. Pellicole in qualche modo “pedagogiche”, la cui fruizione era assicurata da maschere che, al contrario dei cerberi controllori in servizio nelle sale del centro, erano solite accettare con benevolenza le innocenti bugie sull’età pronunciate con sfrontatezza per aggirare i vincoli del “vietato ai minori”.

Il cinema era appunto la finestra sul mondo, e una finestra, come abbiamo visto, dalla quale si poteva guardare in tante direzioni. Nel buio delle sale ci si poteva abbandonare ai sogni, magari fumando di nascosto le prime sigarette o tentando i primi timidi approcci con qualche compagna di scuola.

A guardare oggi cosa resta di quel “multisala diffuso”, c’è da restare sgomenti. Le nostre finestre sul mondo ce le hanno chiuse ad una ad una. Il cinema Fiamma non riesco neppure a ricordare esattamente dove fosse e cosa ci sia ora al suo posto. Il Due Torri vive una vita grama, dopo aver ceduto per sopravvivere una parte di sé alla stazione di arrivo delle scale mobili. Le sale parrocchiali neanche a parlarne. Resta, per aiutarci a coltivare i nostri rimpianti, la sagoma spettrale di quello che fu il cinema Ariston. Sventrato, abbandonato, terreno di coltura di erbacce e ritrovo di animali più o meno molesti, propone nel pieno centro cittadino un’immagine di sporcizia e degrado che francamente questa città non merita.

La finestra sul mondo è diventata uno specchio che riflette impietosamente i nostri peggiori difetti.

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