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L'Oscar ai tempi del gender

Qual è l’ingrediente che potrebbe fare la differenza perché un film riesca a vincere l’Oscar? Il respiro dei tempi, lo zeitgeist. [Piero Cinelli]

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18 Settembre 2015 - 09.38


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di Piero Cinelli

Una bella storia, una messa in scena in stato di grazia, eccellenti interpretazioni… Ma qual è l’ultimo ingrediente, quello che potrebbe fare la differenza perché un film riesca a vincere l’Oscar? Il respiro dei tempi, lo zeitgeist, per dirlo (come fa Variety) in una lingua che va di moda. Lo spirito dei tempi colto al momento giusto, né prima né dopo, quando certe questioni sono mature nell’immaginario collettivo e ne cambiano i colori.

Per capirci meglio, se nel 2006 lo zeitgeist nei confronti dell’omosessualità era prematuro per premiare come miglior film Brokeback Mountain (quell’anno l’Oscar lo vinse il controverso Crash di Paul Haggis mentre ad Ang Lee venne assegnato l’Oscar di consolazione per la regia), oggi l’Academy si trova di fronte ad un ventaglio di film che affrontano il tema dell’omosessualità e dei transgender in modo ancora più determinato.

Difficile dubitare che Carol o The Danish Girl siano nominati agli Oscar. Ma se il secondo, snobbato dalla giuria del festival di Venezia, nonostante l’indubbia efficacia della storia vera – la prima vicenda ufficiale di cambiamento di sesso – propone con forza lo sdoganamento storico e sociale dei trans, uno sdoganamento reso indubbiamente più facile negli Stati Uniti dalla recente vicenda di Caitlyn Jenner, il secondo arriva in un momento in cui l’accettazione, anche a livelli istituzionali, delle coppie omosessuali è ampiamente diffusa.

Carol, presentato al festival di Cannes, diretto da Todd Haynes e interpretato da Cate Blanchett e Rooney Mara (quest’ultima ha ottenuto la Palma per la sua interpretazione) affronta la storia d’amore tra due donne nell’America degli anni 50 ed ha un potenziale grande rivale in Freeheld di Peter Sollett, interpretato dalla coppia Julianne Moore-Ellen Page, tratto dalla storia vera della battaglia legale sostenuta dalla poliziotta Laurel Hester, malata terminale di cancro, per trasferire dopo la sua morte i diritti della sua pensione alla sua compagna. Una storia che arriva dopo che la Suprema Corte ha sdoganato i matrimoni tra persone dello stesso sesso, e che ricorda vagamente Philadelphia di Jonathan Demme con Tom Hanks (che vinse l’Oscar da protagonista), ma all’epoca (1993) la centralità della storia era il licenziamento di un uomo malato di Aids (e per giunta omosessuale) mentre oggi la centralità delle storie sta proprio lì, in una scelta di vita rivendicata coraggiosamente anche negli anni cinquanta.

Sarà questo il leit-motiv intercettato dagli Oscar 2016? Tornando alla famigerata zeitgeist di Variety, gli altri temi che potrebbero scuotere le coscienze dell’Academy sono la lotta per i diritti delle donne di Suffragette di Sarah Gavron che mette in scena il movimento per i diritti femminili nell’Inghilterra del secolo scorso, un film che si vanta di essere scritto, prodotto, e diretto da donne, il che nella Hollywood di oggi dove esistono ancora forti diseguaglianze tra i ‘generi’, potrebbe risuonare forte e chiaro. Anche Beasts of No Nation, anche questo presentato a Venezia, che affronta il tema dei bambini soldato nell’Africa subsahariana, e che oltretutto ha la particolarità di essere stato prodotto da Netflix direttamente per lo streaming video, potrebbe ottenere consensi, come peraltro Sicario di Denis Villeneuve (presentato a Cannes) che riporta, quindici anni dopo Traffic di Soderbergh, Benicio del Toro (che all’epoca vinse l’Oscar come non protagonista accanto a Soderbergh per la regia) al centro di una storia sulla guerra infinita al narcotraffico.

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