Il recente convegno internazionale “Audiovisual Market and Regulation An Industry at a Crossroads”, che si è tenuto durante il Festival Internazionale del Film di Roma, ha sollevato una serie di problematiche sul futuro del cinema europeo e non solo, mettendo in evidenza l’urgenza di riuscire a intervenire sui macrofenomeni della digitalizzazione e della globalizzazione. Un impresa a dir poco titanica, visto che a dettare l’agenda sono sempre più i grandi gruppi che controllano la rete, che hanno visioni ed interessi opposti a quelli dei player attuali.
Che il cinema sia all’alba di una trasformazione epocale, è opinione diffusa, anche se nessuno sembra voler azzardarne le conseguenze fino in fondo. Fenomeni come Netflix impongono nuovi modelli di produzione e di consumo. La politica multinazionale delle major di Hollywood viene superata come modello distributivo e adesso anche produttivo dalla velocità e radicalità della rete. Netflix vince la sfida che ha lanciato al mercato con accordi di produzione che azzerano le cosiddette finestre facendo crollare non solo le distanze ma anche le differenze tra cinema, tv, vod, pay etc.
La battaglia è solo all’inizio ma una cosa è certa: Netflix potrebbe diventare l’apripista dei giganti del web, che non hanno mai nascosto il loro interesse in questo settore strategico per tutti. Inoltre se Netflix alzerà, come sembrerebbe altamente probabile, l’asticella di questa sfida globale, per quanto tempo le major potranno permettersi di farsi scavalcare, concedendo a Netflix o chi per lui un vantaggio mostruoso in termini di costi e consumi? La teoria del “c’è posto per tutti nel mercato globale” è una pia illusione, abbiamo già visto cosa è successo nel settore dell’homevideo. Adesso il passo successivo è con ogni evidenza la ridefinizione in termini economici e politici della sala, che resta l’ultimo ostacolo di fronte ad uno sfaldamento progressivo del mercato cinematografico a favore del web.
I circuiti cinematografici intanto si internazionalizzano, come sta succedendo anche in Italia, vedi il circuito The Space che è stato acquistato da un network europeo, ed è prevedibile che questo fenomeno si sviluppi a livello globale, vedi la catena statunitense Amc acquistata dal gruppo cinese Wanda, ma questi circuiti in buona sostanza sono controllati da fondi di investimento che molto probabilmente investono anche in Netflix, Google, Amazon etc. In questo scenario le cinematografie nazionali, in particolare quelle europee sembrano come i classici vasi di coccio, e rischiano di venire confinate in un mercato glocal sempre più ristretto.
Forse più che di ‘eccezione culturale’ dovremmo parlare di emergenza culturale, e prima che la stalla si vuoti bisognerebbe intervenire. Anche se un intervento a livello nazionale sembra del tutto inutile, piuttosto è l’Europa che dovrebbe esprimersi, cercando di immaginare un futuro del cinema e dell’audiovisivo che lasci spazio alle varie realtà che ne garantiscono la ricchezza e la libertà. A questo proposito non possiamo che fare gli auguri al Ministro Dario Franceschini che in chiusura del convegno ha dichiarato di voler affrontare questi temi nell’agenda del semestre europeo. “Viviamo in una situazione abbastanza surreale, nella quale i livelli decisionali sono a livello sovranazionale, ma noi siamo privi degli strumenti legislativi per la dimensione in cui avvengono. Servono regole globali o a guidare i grandi processi di trasformazione saranno solo quelli che non hanno più il problema degli angusti limiti nazionali”.
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