Così concludevo alcuni giorni fa il mio articolo intitolato [url”La tortura legale di Aurelia Sordi”]http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=63775&typeb=0&La-tortura-legale-di-Aurelia-Sordi[/url]: “che fine farà ora la splendida casa di Alberto, con il suo ricchissimo archivio? La logica vorrebbe che diventasse il suo museo ma chi la erediterà, perché qualcuno che avanzerà pretese sicuramente ci sarà, sarà disposto a rinunciare a tutto pur di onorare la memoria del nostro carissimo Alberto Sordi? “. E, rispondendo a Paolo Alberti, che mi scriveva come consigliere della Fondazione Alberto Sordi esternandomi preoccupazioni condivise negli ambienti più vicini alla memoria del nostro grande attore, dicevo: “Io penso che la Fondazione sia la sola a poter vantare dei diritti e questo lo deve fare soltanto con lo scopo di dare un senso a quello che rimane del patrimonio di Alberto Sordi. E l’unico senso che può avere è la erezione di un museo dedicato al Grande proprio in quella che fu la sua dimora”.
Il testamento della Signorina Aurelia è andato proprio in questo senso. E non poteva che essere così. Si adempiono così le volontà di Alberto, nell’ultimo atto,attraverso il testamento della sorella di destinare il suo ingente patrimonio, in parte alle opere da lui iniziate e portate aventi, come la Fondazione per l’assistenza e la cura degli anziani e il sostegno ai giovani artisti, e alla fondazione ufficiale di un museo che lui stesso ha dotato nell’arco di tutta la sua vita. Nessun artista ha documentato la sua vita e la sua opera sterminata come ha fatto Alberto. Nella sua casa ci sono le copie cinematografiche dei suoi 149 film, ci sono tutti i copioni, le foto di scena e persino i contratti.
E dulcis in fundo persino i costumi dei film datati, come i panni del Marchese del Grillo, di Arpagone, l’Avaro, e Argante, il Malato immaginario. Ma anche la divisa del soldatino della Grande Guerra, Jacovacci Oreste. Nella sua casa Alberto custodiva la sua collezione di opere d’arte me anche i preziosi arredi che acquistava per tenere dietro alla sua passione per l’antiquariato (“Cosa avresti voluto fare se non avessi fatto l’attore?” gli chiesi una volta “l’antiquario” mi rispose). Per non parlare dei suoi scritti, delle lettere, degli appunti. Insomma il Museo Sordi è pronto, si tratta soltanto di renderlo attivo e vivo. Sono sicuro che la Fondazione, che ha nel museo il suo unico scopo, con l’appoggio di Roma Capitale e del Ministero della Cultura, saprà esserne degna.
A questo punto rimane un ultimo interrogativo: perché la signorina Aurelia non è stata libera di donare qualcosa dell’ingente patrimonio che suo fratello le aveva lasciato a coloro che con tanto amore l’hanno assistita per tanti anni e che per tantissimi anni ancora si erano presi cura di suo fratello? Perché queste persone sono state fatte passare per profittatori? Io spero che la Fondazione sappia riconoscere il loro buon diritto e sappia anche restituire loro l’onore perduto.