Carlo Verdone: basta con la chiusura di cinema | Giornale dello Spettacolo
Top

Carlo Verdone: basta con la chiusura di cinema

Il regista ritira al Festival di Venezia il premio intitolato a Robert Bresson, per la prima volta assegnato a un attore di commedie. [Marco Spagnoli]

Carlo Verdone: basta con la chiusura di cinema
Preroll

GdS Modifica articolo

1 Settembre 2014 - 15.14


ATF

di Marco Spagnoli
[url”@marco_spagnoli”]http://twitter.com/@marco_spagnoli[/url]

“Quando ho ricevuto la lettera che mi conferiva il premio Bresson sono rimasto molto contento… e lusingato nel leggere la motivazione e i nomi dei registi cui era stato dato in precedenza. Era la prima volta che veniva dato ad un autore di commedie, la seconda ad un Italiano dopo Giuseppe Tornatore. Sono rimasto molto emozionato e mi sono anche fermato un attimo a riflettere se avessi davvero ‘meritato’ un onore del genere.” Carlo Verdone parla di se stesso, con la solita modestia che contraddistingue da oltre trenta anni
la sua carriera e la sua vita. Il tornare al Lido per ricevere il intitolato al grande regista francese Robert Bresson è un grande onore per lui che oltre ad essere uno dei più popolari attori del nostro paese è anche un autore colto e raffinato, un grande creatore di maschere della solitudine per esplorare i complessi meandri affettivi della nostra modernità. “Sono rimasto stupito di trovarmi insieme a cineasti il cui lavoro è stato caratterizzato da film drammatici ed intimisti come i Fratelli Dardenne e Aleksandr Sokurov che hanno ricevuto il premio prima di me. E’ un atto di incoraggiamento per la commedia e un apprezzamento per i miei trentasette anni di lavoro che mi hanno portato a creare personaggi nei cui confronti ho nutrito sempre un grande amore.”

I premi obbligano a dei bilanci: cosa pensa guardandosi indietro?

Senza dubbio alcuni film sarebbero potuti essere migliori: un autore deve essere consapevole che qualche lavoro, inevitabilmente, riesca meno bene degli altri. Succede a tutti. Personalmente credo, però, di avere tutto sommato raccontato abbastanza bene queste quattro decadi di difetti, solitudini, mitomanie, nevrosi, fragilità, meschinità degli Italiani che ho sempre ‘pedinato’ ed osservato.

Una caratteristica del suo cinema è quella di mantenere un approccio ‘alto’ ed intellettuale ammantato, però, di un essere popolare in grado
di raggiungere il grande pubblico…

La mia carriera è stata ‘fulminante’. Avevo ventisette anni quando facevo il teatro: sono passato prima alla televisione eppoi al cinema. Nonostante questa ‘velocità’ ho impiegato molto tempo prima di essere finalmente preso sul serio. Alla fine ero sempre un comico che veniva dalla televisione… ricordo che con Compagni di Scuola un film d’autore, la gente aveva difficoltà di riconoscermi questo cambiamento. In Italia è difficile pensare ad un autore cinematografico che non sia sempre ‘integro’ e che segua la sua strada. Io, invece, sono sempre stato molto eclettico e solo il tempo ha dimostrato che il mio lavoro avesse più anime: quella del regista, dell’attore, del trasformista.

Qual è la sua ‘vera’ anima?

Quella che mi ha spinto a scrivere film come Maledetto il giorno che ti ho incontrato, Al lupo, al lupo, Io e mia Sorella… non rinnego, però, i primi film e i “caratteri” che mi sono molto divertito ad interpretare con la loro verità e solitudine.

Il segreto del successo?

Non lo so. Senza dubbio la mia serietà e il mio impegno in quello che faccio. La mia passione, ma – soprattutto – il desiderio di dare al pubblico sempre qualcosa di nuovo e mai la ripetizione dello stesso film. Ho scritto e diretto storie tutte differenti tra loro. I film più difficili sono stati gli ultimi in termini di spessore e dinamica, di equilibrio tra risata e dramma. Lavoro molto e con passione ai miei progetti. Del resto è inevitabile: oltre alla trasformazione della mia anima devo anche seguire quella della mia maschera facciale. Oggi ci sono cose che non posso più fare… Un’altra cosa che mi stupisce è che il mio successo duri da trent’anni. Qualcosa che oggi diventa difficilissima se non quasi ‘impossibile’. Soprattutto in un’epoca come questa con un’Italia alla canna del gas, segnata da scandali su scandali e dal dissolvimento dell’etica… Nonostante tutto, però, un autore di commedia deve andare avanti e guardare ciò che lo circonda per comprenderlo fino in fondo: osservandolo e raccontandolo coniugando la risata ai problemi. Io l’ho fatto con assolute onestà e sincerità.

Parlando dell’industria cinematografica, cosa la preoccupa di più ?

Senza dubbio la chiusura delle sale di città: un tema che ho affrontato anche in un colloquio privato con il Ministro Franceschini che è un mio amico. Dobbiamo fermare la chiusura delle sale del centro, perché stiamo perdendo il pubblico che va al cinema: quello dai trenta in su. Se non facciamo nulla, consegneremo un’intera generazione alla visione su tablet e computer… l’emorragia di sale significa perdere il piacere della condivisione. Lo stesso vale per teatri e librerie… dobbiamo proteggere i luoghi della cultura e difenderci anche dalla pirateria che, però, è un problema mondiale.

Come intravede il futuro del cinema italiano?

Nel segno delle coproduzioni: il nostro mercato non basta più. Le televisioni non giustificano più i costi di produzione e il Tax Credit non è sufficiente. Dobbiamo andare oltre i nostri confini e pensare ad un cinema italiano sempre più internazionale, fondato sulle coproduzioni. Dobbiamo allargare lo sguardo, puntando sulla visibilità del nostro cinema all’estero. Ci sarà un momento in cui le coproduzioni saranno indispensabili. Non so come andrà a finire per la mia generazione: se continueremo a fare quello che abbiamo sempre fatto oppure ci ‘butteremo’ sulle serie televisive. La cosa fondamentale è che, però, il senso sociale di un film non vada perduto. Non possiamo relegarci alla
solitudine della visione domestica. Il cinema è condivisione con gli altri.

Realizzerebbe una serie televisiva?

Senza dubbio potrei farlo, lavorando su materiali che mi appartengono. Ho solo il timore che le serie non siano davvero un’evoluzione dello spettacolo, ma una moda – interessante – ma pur sempre una moda. Lo farei senza abdicare, però, a quello che è il mio grande amore, ovvero il cinema in sala.

Sta già lavorando ad un nuovo progetto?

Ci sto pensando.

Dopo La Grande Bellezza le sono arrivate proposte come attore?

Sì, sono tante, ma – al momento – non le posso accettare , perché ho un contratto con De Laurentiis per un altro film come attore e regista.

Come immagina il suo futuro?

Arriverà un momento in cui sarò solo dietro alla macchina da presa. E’ inevitabile che accada e non ho alcuna malinconia nel dirlo. Anzi, credo che sarà una sfida interessante per me quella di potere fare un film senza dirigermi. Ci sarà un giorno in cui non interpreterò più i miei film.

Parafrasando un suo titolo: un ‘maledetto giorno’ per il pubblico…

No no, tutt’altro. Deve esseri il ricambio generazionale e lo dico come spettatore. Io sono un grande sostenitore di nuovi talenti come Pif e come Sydney Sibilia. Ho votato per loro ai David e sono felice che le cose cambino. Nulla mi fa più felice di vedere dei film di esordienti fatti bene. Il nostro compito è incoraggiare i giovani attori e registi. In quel momento girerò film d’amore, sentimentali. La mia soddisfazione sarà fare qualcosa di nuovo e di diverso. Oppure recitare per qualcun altro in ruoli differenti da quelli portati fino adesso sullo schermo. E’ un passaggio inevitabile e ‘sano’.

Una critica al nuovo cinema italiano?

E’ la critica che muovo a tutto il cinema italiano: l’assenza di narrativa sulla scia di quella dei grandi autori come Gadda, Flaiano e di tanti altri. Non siamo più a quei livelli e dobbiamo tornarci. Una volta eravamo i primi in Europa ad osservare la società, a prenderci in giro sottolineando tic e difetti, adesso, siamo ‘prosciugati’ e dobbiamo andare a rifare film degli altri pescando e adattando idee dai Francesi o dagli Spagnoli. Questo la dice lunga sulla sofferenza della scrittura e dell’ideazione del cinema e della televisione del nostro paese.

Cosa dirà a Venezia, quando le daranno il premio Bresson?

Lo dedicherò a mio padre (Mario Verdone, grande critico ed intellettuale è stato uno storico collaboratore del Giornale dello Spettacolo, n.d.r.). Se l’ho ottenuto lo devo a lui. Mio padre mi ha comprato da ragazzino la tessera del Filmstudio dicendomi “Se vuoi farti una cultura, ogni momento che puoi vai al cinema. E’ lì che imparerai alcune tra le cose più importanti
della tua vita e del tuo lavoro”. Devo tutto a lui: senza dubbio il suo rigore, la sua disciplina, il suo entusiasmo lo rendono il migliore della famiglia Verdone. Aveva una personalità enorme e io, che ho provato ad essere un figlio bravo, ho assorbito più che ho potuto da lui.

I film che hanno fatto di Carlo Verdone quello che è?

Tre film di Federico Fellini in particolare hanno formato me e il mio rapporto con il cinema e la mia personalità: I vitelloni, Lo Sceicco Bianco e La Dolce Vita. Aggiungerei anche tre opere di Pietro Germi Signori & Signore, Sedotta e Abbandonata, Divorzio all’Italiana. Quello che sono, lo devo soprattutto a loro e a mio padre: Mario Verdone.

Native

Articoli correlati