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L’animazione giapponese nel post Studio Ghibli

In Giappone non c’è solo Miyazaki, ma alcune problematiche sociali spingono governo e aziende verso nuove strategie.

L’animazione giapponese nel post Studio Ghibli
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9 Agosto 2014 - 18.09


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di Andrea Bettoncelli

L’industria cinematografica giapponese sta vivendo un periodo particolarmente felice, lo dicono i numeri. Nel 2013 infatti sono stati staccati 155,9 milioni di biglietti, per un incasso totale al botteghino di quasi due miliardi di dollari. Il fatto più interessante è stata la distribuzione nel corso dell’anno di 1.117 film, di cui 591 produzioni nazionali e 526 d’importazione. Mai nella storia del cinema giapponese erano stati distribuiti più di 1000 titoli in un anno, a testimonianza di un interesse sempre più vivo per la settima arte. Ad avere incassato di più nel corso del 2013 sono stati tre film d’animazione: Si alza il vento (Studio Ghibli, $88.5 milioni), Monster University (Disney/Pixar, $67 milioni), e One Piece Z (Toei, $60 milioni). Quest’anno invece a sbaragliare la concorrenza è Frozen, che nei primi 31 giorni di proiezione ha incassato $90 milioni e da qui a dicembre riuscirà ad incrementare ancora di qualche milione il proprio score.

Nonostante l’animazione garantisca grandi incassi al box office, recentemente due notizie hanno movimentato tutto il settore. La prima riguarda lo Studio Ghibli, un’autentica istituzione nel settore (e probabilmente il nome più conosciuto all’estero tra le case cinematografiche giapponesi): secondo quanto fatto trapelare dal produttore Toshio Suzuki in un documentario andato in onda domenica, lo studio fondato da Hayao Miyazaki e Isao Takahata entrerà in una condizione di “pausa temporanea”. Non sarà una chiusura in termini definitivi, fatto sta che i dipartimenti creativi interromperanno le proprie funzioni – con conseguente licenziamento dei dipendenti –, mentre resteranno operativi i dipartimenti dell’azienda che si occupano della concessione delle licenze e della gestione delle proprietà intellettuali. Si tratta di una scelta probabilmente maturata nel tempo, che ha visto subire un’accelerata dopo gli ultimi incassi al cinema non eccezionali, ma anche per la volontà di Hayao Miyazki di ritirarsi dalla scena e per i costi amministrativi sempre maggiori (si parla di venti milioni di dollari all’anno per coprire gli stipendi).
La seconda notizia riguarda una legge anti-pirateria approvata dal governo giapponese settimana scorsa, grazie alla cui applicazione dovrebbe essere più difficile l’upload online di materiale protetto da copyright: la pirateria digitale costa al Giappone venti miliardi di dollari, tanto che secondo il Ministero dell’economia, del commercio e dell’industria giapponese, metà dei lettori di manga e spettatori di anime residenti negli USA utilizzerebbe materiale piratato. I 580 siti responsabili dell’upload illegale saranno contattati con l’esortazione a eliminare questo materiale, e gli utenti saranno reindirizzati, al momento dell’accesso, su piattaforme protette in cui sarà possibile effettuare l’acquisto delle opere desiderate.

L’industria dell’animazione giapponese si risveglia dunque in questo inizio agosto senza lo studio Ghibli (quantomeno senza futuri lungometraggi originali) e con una rigida legislatura che colpirà duramente chi proverà a piratare le opere.

C’è tuttavia un altro dato molto interessante: il Giappone è un Paese vecchio. La media di figli per donna (1.21) è tra le più basse al mondo, così come è preoccupante il dato secondo cui tra il 2008 e il 2013 la popolazione sia diminuita di 800.000 individui (dato influenzato dal disastro ambientale del 2011). Con un numero sempre minore di bambini, gli studi di animazione hanno bisogno di un pubblico più variegato e, soprattutto, più internazionale. Per questo motivo nel corso degli ultimi anni sono aumentate le collaborazioni e le produzioni fatte tramite outsourcing (specie nel mercato asiatico, con India e Cina partner principali), nel tentativo di tagliare i costi e allargare il bacino di spettatori. Gli accordi con distributori internazionali permettono maggiori vendite all’estero e un grande ritorno in chiave marketing. La Dynit ad esempio è stata sicuramente una dei maggiori artefici del successo dell’animazione giapponese nel nostro Paese, grazie alle licenze di serie di animazione di grande successo cedute a clienti come MTV, Mediaset, Rai 4. Nel 2013 la Dynit ha dato il via a un’iniziativa, in collaborazione con Nexo Digital, chiamata Nexo Anime, che ha portato nei nostri cinema titoli di culto in patria ma inediti da noi, con ottimi risultati al box office.

La decisione da parte dello Studio Ghibli di concentrarsi sulla concessione delle licenze, mettendo da parte quello che per anni è stato il cavallo di battaglia e il fiore all’occhiello dell’intera industria nazionale, è sinonimo di un sistema forte ma con qualche crepa. La scelta di puntare sul mercato globale e abbassare i costi sembra essere una mossa vincente, soprattutto considerando lo zoccolo duro di pubblico in alcuni mercati chiave come USA, Italia, Sud Africa, Cina, e Francia.

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